80 fratture
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale
Ciao! 👋 Questa settimana parliamo del mio infortunio da brividi, di nomi, di fiumi e di capezzoli
Mi sono rotto il pondulo.
E non è certo un eufemismo disneyano per dire che sono stufo di qualcosa. Il pondulo è il quarto dito del piede, e qualche giorno fa ne ho fratturato la prima falange. Mi è successo a ridosso di Halloween, quando una mandria di bambini del palazzo in cui sto in affitto sono passati a fare dolcetto o scherzetto tra i pianerottoli. Al primo campanello, ho spento Spotify e luci di casa e mi sono acquattato dietro lo spioncino. Sono rimasto a spiare quelle nuove generazioni così, al buio, in silenzio, senza respirare, sperando non si accorgessero di me e mi lasciassero in pace, come un Pichetto Fratin bloccato in tangenziale dagli attivisti del clima. Credevo di essere finalmente libero dai loro costumacci plasticosi, dai loro glitter illegali, quando il campanello ha strillato per la seconda volta. Sono balzato indietro, ho sbattuto il piede contro lo spigolo del mobiletto ed è stato subito Oppenheimer a Los Alamos. Quando ho smesso di imprecare, dall’altro lato della porta ho sentito solo:
“Mamma, mamma, in quell’appartamento c’è un fantasma!”
“E in vita deve essere stato un uomo di chiesa, a giudicare da quanti santi ha nominato…”
Lato positivo: al prezzo di un piede infortunato ne ho ottenuti due asciutti. Mi ritrovo fermo a casa, stampelle prese in prestito e una città inondata dall’autunno arrivato tutto insieme. Milano si è svegliata col Seveso esondato e tra i commenti social leggo, rileggo, straleggo coloro che incolpano Beppe Sala di essere più occupato a farci andare in giro coi monopattini al posto delle auto invece che proteggerci dall’acqua per strada. “E il sindaco dov’è?” si starnazza su ogni piattaforma, confondendo qualunquisticamente le cose, ignorando l’ennesimo quadro generale degli eventi, e ci credo che poi quella di Storia dell’Arte, in gita al museo, non vi ci voglia più portare. Io dico, forse è anche meglio che non ci sia, il sindaco. In primis perché più che i monopattini servirebbero degli sci d’acqua, o al massimo delle wakeboard. E poi perché l’ultima volta che mi si è allagata casa e ho chiamato in soccorso Sala, mi ha chiesto 80 euro per la sola uscita.
Mia madre mi racconta da sempre di come, quando era piccola, faceva il bagno nel Seveso con gli amici. Oggi siamo più viziati ed è il Seveso che viene a farti il bagno direttamente a domicilio. Non solo lui: ci sono stati 52 nubifragi in 48 ore in Italia, eventi estremi in un territorio su cui noi esseri umani continuiamo a mettere mano, ingrifati di cemento e di urbanizzazione come neanche i tredicenni con gli hentai. A furia di smanacciare diventiamo ciechi al mondo, come ci dicevano a catechismo; oltre che stranamente attratti dai tentacoli di polpo.
Lo chiamiamo ancora maltempo, sui giornali. Perché è più facile farlo rientrare nello schema delle cose conosciute, quelle che passano, che ok magari un po’ meno normale del solito lo è, chiamiamolo malmaltempo allora, o malissimotempo, ma non esageriamo, che poi che differenza fa un nome? E dai su, non mi rompete il pondulo!
Eppure, i nomi e le parole fanno. Per esempio: più lo ripeto, “pondulo”, più suona come un uccellino di montagna e questa settimana la American Ornithological Society ha annunciato che cambierà quasi 80 nomi di uccelli perché erano stati dati loro in onore di suprematisti, schiavisti e razzisti bianchi del passato. Vero, cento, duecento anni fa quale accademico non era bianco? E quale bianco non era almeno una di quelle tre cose? Tuttavia farebbe strano se oggi chiamassimo le rondini “benitine testaglabra”, i passeri “adolfetti col ciuffo”, le oche “sorelle italiche”. L’intersezionalità ambientale è anche questo: affrontare nell’ornitologia i nodi che vengono al pettine della giustizia sociale. Chissà se anche l’ortopedia navighi nelle stesse eredità adesso culturalmente inaccettabili. Che magari ci fu un José Herrera Pondulo, noto schiavista del 1600 che si rompeva sempre il ditino a furia di calciare l’umanità su e giù per la trattata degli schiavi.
80 erano anche gli anni in cui lo scienziato NASA James Hansen portò per primo davanti al Congresso degli Stati Uniti l’allarmante realtà del riscaldamento globale. Era il 1988 per l’esattezza e 35 anni dopo, cioè l’altro ieri, lo stesso Hansen ha pubblicato uno studio in cui annuncia che il riscaldamento globale sembra essersi dato un’accelerata. Nella stessa settimana in cui un altro studio ci informa che ci restano appena cinque anni (e fischia) di emissioni di CO2 prima di sforare definitivamente il limite di 1,5°C. Ma cos’è tutta sta fretta, oh? Ok che passato Halloween nei negozi è già Natale, ma questa frenesia mi mette l’eco-ansia. Anche se vista la gravità dell’inazione dei governi sulla crisi climatica delle ultime decadi, e la palese poca serietà con cui fu recepito il suo allarme, Hansen sembra troppo risentito per fare regali quest’anno.
“Al massimo un paio di calzini presi su Vinted.”
O magari l’ultima invenzione della collega, l’illustre dottoressa Kim Kardashian, che ha prodotto quel pezzo di tecnologia che ci mancava davvero per risolvere la crisi climatica una volta per tutte: un reggiseno coi capezzoli turgidi incorporati. Io che ho passato tutta l’estate a indagare tra amici e amiche se la moda del no bra desessualizzasse il seno femminile – unica risposta convincente trovata: “Il cazzo.” - non potevo immaginare che nei laboratori dei Kardashian stesse nascendo una nuova speranza proprio su quel fronte. Questo lo spot:
“La temperatura della Terra sta diventando sempre più calda, il livello del mare si innalza, le calotte glaciali si restringono. Non sono una scienziata, ma credo che ognuno possa usare le proprie abilità per fare la propria parte. Ecco perché vi presento un nuovo reggiseno con capezzoli incorporati. Cosicché non importa che tempo faccia, sembrerà sempre tu abbia freddo. Alcuni giorni sono duri, ma questi capezzoli lo sono di più. E a differenza degli iceberg, non se andranno da nessuna parte.”
Fa molto ridere, siamo onesti. C’è un bel tocco di creatività dietro, è la penna di Michelle Wolf, una comedian tra le poche ad aver trattato la crisi climatica nei suoi pezzi. C’è pure parecchia sfacciataggine. Perché la Kardashian è una miliardaria emblema vivente del consumismo, che alimenta, senza se e senza ma, la stessa crisi climatica che qui viene sfruttata per vendere altra roba inutile, altamente emittente e fortemente inquinante. Il suo spot probabilmente è uno di quelli che rompe la bolla degli interessati al clima e porta l’argomento all’attenzione di milioni, forse miliardi di persone, più di quanto un esercito di Hansen potrebbe mai fare. Ma crea una frattura tra il messaggio e l’azione, accenna al problema e propone uno stile di vita che lo alimenta. Lo spot fa molto ridere, dicevo, ma fa anche riflettere. Dobbiamo augurarci che il mercato impazzisca per dei reggiseni con capezzoli perché il mondo si fermi ad ascoltare gli allarmi che scienza, cielo e terra ci stanno dando? Forse sì, in questo nostro grottesco sequel di Don’t look up. Che, tra l’altro, è esattamente quello che ti invitano a fare quei due capezzoli artificiali.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
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Mattia