Barcellona, città che cambia
Ride verde chi ride ultimo – Come reagisce una città alla crisi ecologica?
Quando ti ritrovi in una stazione degli autobus alle 6:30 del mattino, in attesa di intraprendere una traversata dell’Europa meridionale di 15 ore non-stop, ti chiedi dove tu possa avere sbagliato. Quando poi il bus si presenta con un’ora e quaranta di ritardo, la domanda diventa dove possa avere sbagliato l’autista.
Vero, Barcellona non è Roma e le strade spagnole ti portano un po’ dove diavolo pare a loro. Tra l'altro, sapete come si riconoscono le strade spagnole? Finiscono tutte con una curva a esse.
Dodici anni fa visitai Barcellona per la prima volta e mi successero alcune cose strane. Vidi la Sagrada Família ma solo sul retro. Litigai con il gestore di un ristorante che mi perculó ripetendo ossessivamente “Berlusconi bunga bunga! Berlusconi bunga bunga!”. Sulla spiaggia de La Barceloneta, il compianto eroe del basket Kobe Bryant mi calpestò il telo da mare, insabbiandolo tutto, mentre un'orda di fan lo inseguiva fin dentro l’acqua. Dodici anni dopo sono tornato nella capitale catalana con occhi nuovi, curiosi di esplorare certi aspetti di questa città che all’epoca non avrei saputo apprezzare. Oltre che, ovviamente, la facciata frontale del capolavoro di Antoni Gaudí.
Mi dispiace solo esserci tornato troppo tardi per vendicarmi di quella cosa di Berlusconi.
O di Kobe Bryant.
Si dice che Barcellona è una Milano con il mare. Anche se i prezzi meneghini, quanto a salsedine, non fanno invidia ai cugini spagnoli. Quello che però non viene detto quasi mai è che le spiagge barcellonesi non esistevano prima che nascessi io. Fino al 1992, infatti, tra la città e l’acqua c’era giusto una stretta lingua di ghiaia principalmente abbandonata alle attività industriali, che poi è la descrizione perfetta dei miei weekend. In vista delle Olimpiadi di quell’anno, la città volle costruirsi spiagge con cui presentarsi al mondo. Per farlo ordinò tonnellate di sabbia da altre parti della Regione, e dovette trasportarle con file e file di camion perché i rider non esistevano ancora. Lo sforzo portò ottimi i risultati e le spiagge di Barcellona divennero rapidamente parte integrante dell’immagine e della cultura della città.
Un successo, sì, ma anche una maledizione. Perché in questi trentadue anni, anche la crisi climatica è diventata parte integrante del Mediterraneo. Tutta la Catalogna è colpita duramente dall’innalzamento del livello del mare e dall’erosione dovuta a tempeste sempre più violente. Dal 2015 la regione ha perso il 25% di tutta la sua sabbia. Alle nove spiagge cittadine, il mare sottrae circa 30 mila metri cubi di sabbia all’anno. Come i palestrati che ingurgitano barattoloni su barattoloni di polverine, così Barcellona è costretta a fagocitare continuamente sabbia per mantenere la propria massa. Le amministrazioni iniziano a vedere questo infinito impegno come un costo economico e ambientale sempre più ingiustificabile. Come per altro l’abbonamento in palestra, visto che non ci vanno mai. Dunque? Dunque, chissà. Mentre si cercano soluzioni, si apre la possibilità a un domani in cui Barcellona potrebbe essere una Milano con il mare ma senza il mare.
Più verde è il futuro se ci spostiamo invece nel cuore della città. Sono andato in cerca dei famosi superblock, o superilles, il caso studio che gli urbanisti tirano fuori ogni volta che vogliono impressionare la platea perché esempio concretissimo di città di 15 minuti, il concetto ideato da Carlos Moreno che avverte:
“Con la platea ok, ma come primo messaggio su Tinder non funziona mai.”
L’idea del superblock è semplice. Si tracciano dei quadrati sulla planimetria della città. Si riorganizza la viabilità per permettere alle auto di usare solo le vie esterne, ossia il perimetro, di questi quadrati. Si ridanno le strade interne ai quadrati alle persone, ai bambini per giocare e agli anziani per lamentarsi dei bambini che giocano, al verde urbano con alberi e aiuole, a panchine, tavolini di bar e negozi. Fuori le auto, fuori anche l’inquinamento, gli incidenti, il rumore, l’asfalto. Semplice, dicevo.
Data la peculiare pianta del centro di Barcellona, vista dall’alto ogni superilla sembra la griglia del sudoku. Dal basso ha invece l’aspetto di una classica ZTL o area pedonale, ma con almeno già le soluzioni.
Anche fuori dalle superilles, dove le auto scorrono come da noi, la città riesce comunque a regalare gioie. Ho visto piste ciclabili onnipresenti e ben integrate, con la loro segnaletica, i cartelli, i semafori. Ho visto gente andare al lavoro perfino con i rollerblade tanto si sentiva sicura di usarle, e nonostante le prese in giro di quelli che urlavano: “Hanno chiamato gli anni ‘90, rivogliono indietro i loro rollerblade!”
Ho visto autobus urbani dotati di schermi digitali per informare i passeggeri su quali sarebbero state le prossime fermate e sul meteo, e ho visto vecchiettine cercare il telecomando di bordo per girare sull’uno. Ho visto Casa Batlló, altro capolavoro di Gaudí, e ho pensato che se la natura dovesse progettare un edificio lo farebbe esattamente così, perché tutto di esso evoca ecosistema: camini-fungo, finestre-tartaruga, balconi-corallo, branchie, acqua, giochi di luce, bellezza e funzionalità. Casa Battló spiega la biodiversità. È anche l’unica casa che quando entri, oltre a toglierti le scarpe devi farle dei grattini.
Ho visto, insomma, una città che si sta trasformando mentre il mondo cambia intorno ad essa. Certo, la mia gita di un fine settimana non basta per capire come Barcellona stia reagendo a tutti gli sconvolgimenti ambientali, dalle siccità devastanti alle ondate di calore che hanno interessato la Spagna in questi ultimi anni. Tuttavia, è chiaro che la città si sta facendo domande e non ha paura di avanzare risposte. Come se stesse seguendo un piano urbano progettato da Gigi Marzullo. Che fosse proprio lui la chiave per la transizione ecologica delle nostre città?
A proposito di città che cambiano, segnalo che venerdì è uscito in edicola questo speciale de Linkiesta con contributi di Climate Forward del New York Times. Lo sto leggendo, sto trovando diverse cose molto molto interessanti. Se lo hai già avuto per le mani e vuoi dirmi cosa ne pensi, scrivimi e parliamone!
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Alla prossima settimana!
Mattia