Latte di cammello
Ride verde chi ride ultimo – Il cammello è la mucca di cui abbiamo bisogno ma che non meritiamo?
"Caffè macchiato soia o cammello?”
Una domanda insolita, a meno che tu non faccia il camionista sulla Nairobi-Mogadiscio e sia abituato agli Autogrill del Corno d’Africa (in quel caso, se esci a Mombasa Sud c’è una trattoria davvero buona, ci vanno i Tuareg e si sa che dove si fermano loro si mangia bene). Eppure, è una domanda che presto potremmo sentirci rivolgere ogni mattina al bar, anche qui da noi.
No, non sto facendo demagogia anti-immigrazione, e sì, lo so, i Tuareg non bazzicano quella parte dell’Africa — soprattutto da quando hanno smesso di accettare i buoni pasto. Ma occorre fare una riflessione su come il nostro “normale” sia in cerca di alternative, in un clima che cambia. E ciò include il latte che beviamo quotidianamente.
Perché proprio il latte di cammello? È presto detto: il cammello è l’alternativa ideale alla mucca in tempi di crisi ecologica. Prova a tenere una mucca senz’acqua per due giorni, ti esce pazza. Tieni un cammello senz’acqua per due settimane, ti sputa in faccia e dice: “Toh, il resto è mancia.” Se manca vegetazione di cui cibarsi, un cammello può perdere fino al 30% della propria massa e sopravvivere; come lui in natura solo Christian Bale e Joaquin Phoenix. Un cammello sa sincronizzare la temperatura corporea con le variazioni dell’ambiente esterno e ha diversi trucchetti per quando fa veramente caldo. Tipo che può farsi scivolare l’urina lungo le zampe per rinfrescarsi, ed è tanto sicuro di sé da farlo perfino in metro durante l’ora di punta. Una mucca, al contrario, non riesce a fare nemmeno una goccia di pipì se solo si sente osservata. Il cammello può creare un sistema di areazione naturale sotto il proprio corpo appoggiandosi sulle zampe piegate a mo’ di piedistallo. La mucca? La metti in cima alle scale, non sa più scendere. Nemmeno se le dici che purtroppo l’unico bagno è al piano terra.
“Ma di che cazzo ti lamenti, mucca?”
Insomma, il cammello è talmente preparato a sopravvivere in condizioni climatiche estreme che sembra progettato da Greta Thunberg in persona. Per queste sue incredibili survival skills, racconta il Washington Post, in alcuni distretti del Kenya il governo ha distribuito circa 4000 cammelli alla popolazione in difficoltà. L’obiettivo è fornire un nuovo mezzo di sussistenza (capita? Umorismo tuareg) al posto dei bovini, che negli ultimi tre anni di brutale siccità sono morti in 4 esemplari su 5.
Un cambiamento radicale, perché davvero tocca le radici della società in un territorio dove la vacca ha sempre significato tutto, nutrimento, economia, tradizioni e primi amori. Ma mentre noi qui abbiamo politici che fanno battaglie culturali sul passaggio da auto a benzina a auto elettriche al 2035, lì loro hanno dovuto accettare il cambiamento come una transizione inevitabile e improrogabile. Senza Ministri dell’Agricoltura che organizzano cene a sostegno delle vacche africane né Ministri dei Trasporti che spargono fake news su gobbe sintetiche e dromedari che prendono fuoco da soli. Semplicemente, l’ambiente peggiorato li ha presi a schiaffi in faccia con la cruda realtà. E dunque se le famiglie che già avevano cammelli non hanno perso tutto come chi aveva solo mucche, sotto coi cammelli. Non a caso un adagio kenyota dice: se viene la siccità, la mucca è il primo animale ad andarsene, il cammello l’ultimo.
“Allora la chiude lui la porta, poi”
(umorismo Masai)
Mucche out, cammelli in. E anche nella produzione di latte, il cammello — la cammella, anzi — porta la mucca a scuola di ecologia: per un litro di latte di cammello si consumano circa 600 grammi in meno di mangime e quasi un litro in meno d’acqua, e si producono 1,5 kg di anidride carbonica equivalente in meno rispetto a quello dei bovini. Anche di quelli che usano la borraccia e vanno al pascolo in bici. D’altronde lo diceva la canzone: È Katalì, il cammello più ecologico che c'è / È Katalicammello, veloce alto e snello / Riesce a carburare con l'energia solare. Meglio delle Tesla, il cammello sembra davvero essere pluriaccessoriato contro l'inquinamento. Sempre che non contiamo le emissioni medie della ragazza di Gianni Morandi, che ogni volta che la mamma la manda a prendere il latte le tocca andarci in aereo.
Arriviamo a noi. L’Italia non sarà il Kenya ma anche nel Mediterraneo la siccità è destinata a diventare sempre più una condizione strutturale, e dunque la diffusione del latte di cammello una necessità che non possiamo escludere per il futuro prossimo. Anche perché con i suoi pochi grassi, la tanta vitamina C e il sapore lievemente salatino che lo rende ottimo per il gelato al pistacchio, potrebbe tranquillamente diventare un nuovo cibo alla moda, come sono stati l'avocado e il poke. Alla fine gli basterebbe andare in trend sui social, come i video che giravano poco tempo fa in cui una ragazza fa all’amica: “Amo, c’è un ragazzo che…” e l’amica risponde “DOVE!?” girandosi di scatto. Avete presente? Qui sarebbe tipo:
“Amo, c’è un ragazzo che beve latte di cammello!”
“DOVE!?”
“Dietro la gobba!”
E forse sarebbe quasi da sperare che succeda presto, considerati i bassi impatti ambientali rispetto a quello vaccino. Pensiero lecito, no? Siamo sempre in cerca di un’alternativa green, meglio ancora se facile da implementare senza cambiare troppo i modelli di produzione-consumo alla base. E da mucca a cammello, del resto, è solo questione di sgabelli più alti per la mungitura. Sarà per questo motivo che l’industria del latte di cammello inizia a muovere i primi passi anche fuori dai suoi habitat più tipici? Sicuramente è proprio quel motivo a mostrarci il piano cartesiano sballato con cui ci rapportiamo alle altre specie animali. Che vede noi all’origine degli assi e le altre specie a nostra risorsa, soprattutto quelle brave in geometria. Noi così vitruviani ancora una volta, noi che qui in Occidente avremmo la possibilità di trovare alternative altre al latte animale, noi che dovremmo capire che forse ripetere gli stessi errori fatti con i bovini e gli ovini ma con un’altra specie, per quanto a minore impatto come i cammelli, potrebbe non essere la strada da percorrere.
Poi oh, se succede una giustificazione la troveremo, come facciamo sempre. Che so, se davvero un giorno “quello della Lola” sarà sostituita etnicamente dal “quello della Shani”, almeno potremo rincuorarci che è la volta buona che i leghisti ci diventano vegani.
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Alla prossima settimana!
Mattia