Los tombinos sucios
Ride verde chi ride ultimo – Valencia e l’estetica dell’alluvione, una COP16 che si chiude così e così, la linea di Wallace
Ho letto una bella frase: “Non smettiamo di sperare per un pianeta migliore. Smettiamo di votare la politica che ci impedisce di crearlo.”
Peccato fosse scritta sul muro del bagno di una pompa di benzina.
Questa nuova stagione di Ride verde chi ride ultimo sembra non potere rinunciare alle alluvioni. Partiamo perciò dalla Spagna con le news, poi una storia incredibile e infine quiz e pop culture ambientali!
📰 BREAKING le NEWS 🌍
1. Una pioggia senza precedenti ha portato distruzione nell’area attorno Valencia
Martedì 29 ottobre, nella regione intorno a Valencia l’equivalente di 1 anno di pioggia è caduto in sole 8 ore. Non è facile da comprendere, come statistica. Sembra quella cosa che “1 anno di vita di un cane fanno 7 anni di vita per l’uomo”, ma sempre che cane e uomo non siano stati portati via dall’acqua durante la passeggiata. Mentre ancora si cercano dispersi, si contano le vittime (205 al momento), si incolpa il governo della regione di aver preso troppo in giro meteorologia, climatologia e conseguenze, a noi resta una sensazione di un reboot di un incubo già affrontato. Come il film sul Dr.Dolittle con Robert Downey Jr.
Ripeterci perché piova così violentemente all’improvviso, in un’atmosfera più instabile e un Mediterraneo più caldo, sarebbe ridondante. Come lo sono i commenti sui social di chi, tronfio della sua ignoranza, spiega a destra e a estrema destra manca che la colpa dei disastri sia solo della manutenzione delle fogne, dall’Emilia-Romagna al Sud-Est della Spagna. Non mi stupirei se la ricerca Google più cliccata della settimana fosse:
"Come si dice pulizia dei tombini in spagnolo”
Su Instagram e TikTok c’è stata una vera inondazione di contenuti sull’alluvione. Alcuni sull’aspetto più tecnico, più meteorologico (che si vede che stiamo tutti in fissa con le previsioni, quest’anno): DANA, l’evento che ha portato tutta quell’acqua, è stato l’acronimo più rimpallato tra caroselli e reellini esplicativi, e chissà quanto tempo ci metteremo a cacciarlo, insieme a brat e demure, nel cassetto dei neologismi fuori moda. E poi la nuova iconografia dell’alluvione: fiumi marroni che scorrevano impetuosi nei feed come nemmeno nei bagni di un ostello in India; macchine accatastate l’una sull’altra ovunque per le strade, come un giovedì sera di Halloween in zona Navigli; ancora disperazione, ricerche, fango. Quanto manca all’assuefazione a questa estetica? Si chiede il bravissimo Ferdinando Cotugno, nel suo invito ad essere cittadini attivi e non spettatori. Quanto manca, mi chiedo io, meno bravo, a che la gente abbia l’onestà intellettuale di alzare la mano e dire ok, raga, lo ammetto, non sto più capendo cosa succede col pianeta, sono tanto spaventato e se apro bocca per dire la mia aggiungo solo confusione? “Non è questo il giorno!” tuona nella mia testa la voce di un Pino Insegno disturbato da un militante di Lotta Comunista che cerca di vendergli il giornale sul pianerottolo di casa. E infatti, in questi giorni, spuntano ancora come funghi quelli che sotto i video delle alluvioni scrivono: “E menomale che l’auto elettrica doveva salvarci 🤡🤡🤡”. Ignorando come funziona il riscaldamento globale e cosa possiamo fare per fermarlo, orgogliosi di questa ignoranza. Molto spesso, chi scrive questi commenti sono uomini nella cui immagine del profilo sono a cavallo di una moto o di un motore rombante. Anche questa estetica stereotipata a cui ci siamo assuefatti. Come i tizi a petto nudo con gatto, dei primi anni di Tinder.
Dopo due mesi di alluvioni devastanti ovunque, è il momento di darsi per spacciati? Qui una mia riflessione (SPOILER: non ancora! Anche perché abbiamo appena prenotato per Capodanno, sarebbe un peccato perdere la caparra.)
2. Si è conclusa COP16
La Conferenza nella quale speravamo il mondo sbrogliasse alcuni nodi necessari ad arrestare la perdita di biodiversità e ripristinare un equilibrio con il pianeta non ha ottenuto progressi eclatanti. C’erano tante cose da decidere su una materia che, rispetto a quella climatica, è per natura molto più variegata e complessa. Nelle sale negoziali si lavorava frenetici, si saltava di tema in tema, eventi, discorsi, bozze, pareva quasi una giungla. “Ma magari!” urlavano le ONG lì presenti.
Sono stati fatti passi avanti importanti, tra tutti il riconoscimento del ruolo fondamentale delle comunità indigene e afrodiscendenti, e del rispetto del loro sapere tradizionale. Invece, ha deluso l’incapacità di mettersi d’accordo sui soldi necessari a portare avanti la conservazione ecologica, con le Nazioni più povere in attesa che quelle più ricche contribuiscano proporzionalmente. Ma loro, cioè noi, ci ostiniamo a voler fare alla romana. I fondi per ripristinare gli ecosistemi, inutile girarci attorno, sono nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari, ma tra promesse varie si è arrivati a coprire appena un intorno di 400 milioni. La biodiversità è come quel collega che sta per essere licenziato, e tutti gli altri sono dispiaciuti ma non abbastanza da mettere una quota per il regalo d’addio.
Eppure è stato un summit sentito. Lo segnala il fatto che a Cali in queste due settimane c’erano talmente tanti delegati (pare più di 23.000, record storico!) che gli hotel sono stati saturati. Ciò ha comportato alcuni inconvenienti: una dozzina di delegati di Uganda, Nepal, Brasile e Ecuador hanno dovuto trovare alloggio in un love motel, uno di quei motel a ore per fare le cosacce. Si chiama Motel Deseos, ha stanze con letti rotondi, soffitti a specchio, pali, altalene e “macchine dell’amore”, che non so bene cosa siano ma temo che quella lì a cui hai collegato l’iPhone non fosse una porta USB-C. Robert Baluku, l’inviato ugandese, l’ha presa comunque bene. Al Guardian ha raccontato di avere trovato molto curioso lo specchio sul soffitto: “Divertente, non capita spesso di potersi vedere mentre ci si addormenta.” “Vero!” ha ribattuto il nano rivestito di pelle nera e borchie in dotazione nell’armadio. La manager del motel ha fatto sapere che “i delegati sono venuti” (non facciamo i ragazzini…) “ed è piaciuto loro talmente tanto” (eddai!) “che hanno detto ad amici e colleghi di pernottare qui.” E per questo hanno ricevuto lettere di richiamo dall’HR. Un delegato a fine COP si è mostrato molto positivo: “Forse abbiamo fatto pochi progressi, con COP16, ma credo che stiamo comunque salvando la biodiversità. Almeno, a giudicare dai versi del gorilla in calore che provenivano dalla stanza 330…”
3. I fornelli a gas ti stanno rubando 2 anni di vita
Non tipo a Carmy di The Bear, ma più tipo Walter White di Breaking Bad. È uscito il primo studio che esamina i danni che gli inquinanti esalati dai fornelli a gas creano nelle case in Unione Europea e Regno Unito. Si stimano poco meno di 40.000 morti premature all’anno per malattie ai polmoni e al cuore, con il nostro Paese tra quelli più colpiti. Le complicazioni dovute a questa fonte di inquinamento domestico accorciano la vita media di due anni. Tempo che aumenta se contiamo anche quello che perdo io ogni mattina per tornare indietro e assicurarmi di non avere lasciato i fuochi accesi.
Avevo già parlato di come i fornelli a gas siano un baluardo dell’ideologia fossile, il piede che i produttori di combustibili fossili infilano tra stipite e porta di casa nostra per rimanere dentro le nostre vite domestiche. Si dice che per sviluppare una sana paura del fuoco ci sia bisogno di scottarsi almeno una volta, chissà allora quante malattie cardio-respiratorie ci serviranno per imparare a temere il gas fossile.
Eh sì, e poi?
Una ONG sta addestrando ratti giganti africani per scovare merce di contrabbando in Tanzania (Guardian | in ita su Ansa). Con l’olfatto sanno trovare scaglie di pangolino, corna di rinoceronte e zanne di elefanti. Disney sarebbe già a lavoro su un sequel d’azione di Ratatouille, con Denzel Washington nel ruolo di Remy.
Un terzo delle specie conosciute di alberi è a rischio estinzione, secondo l’IUCN (LifeGate). Poco si sa invece di quelle che ancora non si sono mai presentate.
Anche i ricci europei sono ora una specie “quasi minacciata” dopo un declino del 30% in dieci anni (IUCN | in ita SkyTG24). Preoccupatissima la mia parrucchiera.
Monte Fuji senza neve a fine ottobre, non si vedeva da almeno 130 anni (Il Post). I primi pupazzi di neve quest’anno saranno fatti col riso avanzato dal sushi.
L’industria delle crociere vuole sfruttare lo scioglimento del ghiaccio artico per offrire nuove destinazioni al turismo (Washington Post). Single all’ascolto: se nemmeno navigare tra una delle evidenze più scioccanti della fine del mondo vi farà cuccare, per voi resta solo l’apocalisse climatica.
SUDATA FREDDA
Le emissioni dell’UE sono calate dell’8% nel solo 2023 grazie all’energia pulita, nonostante il PIL sia in crescita (Commissione Europea). Si lamentano le destre: “È ingiusto! Non ci eravamo detti che la transizione ecologica faceva male all’economia?”
Il tifone Kong-rey, il più esteso degli ultimi 30 anni, ha colpito Taiwan con 1.2m di pioggia (euronews). Ha fatto 2 vittime e 515 feriti, abbattendo anche 2000 alberi e centinaia di cartelli stradali. “Poveri cartelli” è il messaggio di cordoglio dalla Cina.
La linea di Wallace
L’isola di Bali dall’alto sembra un ratto zombie cattivissimo. Quella di fronte, Lombok, molto meno, e forse per questo a scuola rimorchiava di più. Tra loro due passa una linea che proseguendo divide l’arcipelago malese. È immaginaria, ma le specie animali non la attraversano mai. Forse giusto i pendolari, ma solo se distratti.
Da un lato della linea si trovano solo specie tipiche dell’Asia, elefanti, rinoceronti, picchi, oranghi. Dall’altro solo quelle della regione australiana, koala, canguri, draghi di Komodo, cacatua, Crocodile Dundee. Eppure, in alcuni punti, i due gruppi sono separati da giusto una manciata di chilometri. Come mai non si incontrano? È una roba tipo le contrade durante il Palio di Siena? O è più quel giochino venite voi, no dai venite voi, ma veniamo sempre noi, e allora facciamo la prossima dai, che poi finisce che lo stronzo a casa da solo il sabato sera sia sempre io?
No, è la linea di Wallace. Da Alfred Russel Wallace, esploratore e naturalista inglese che nel’1856 si rese conto per primo di queste due zone così vicine ma così diverse raccogliendo campioni di oltre 125 mila specie. Un grande passo per la scienza, ma una delusione terribile per Wallace, che non ne riuscì a trovare manco una che potesse piacere a sua figlia. Alla fine, il grande scienziato ripiegò su un pesce rosso preso a Londra al suo rientro. Morì due settimane dopo, saltando fuori dalla boccia. Il pesce rosso ebbe invece una lunga vita.
Oggi sappiamo che i due versanti della linea appartengono a piattaforme continentali separate, ad Ovest la Sonda e a Est la Sahul, che si sono spostate nell’arco di milioni di anni dopo un faticoso processo di riavvicinamento – si vocifera di un triangolo amoroso con un compagno di università, ma va’ a fidarti di questi gossip vecchi come il Paleozoico. L’evoluzione delle specie autoctone di entrambe le placche è perciò andata avanti senza badare a cosa succedesse dall’altra parte. Una volta ritrovatesi vicine, la contaminazione è comunque stata resa impossibile dalle condizioni ambientali: per gli animali di terra attraversare il mare qui profondissimo è impensabile, nonostante quel progetto di ponte su cui negli ultimi tempi sta facendo propaganda uno struzzo populista dal lato destro della linea; per uccelli e insetti, i venti oceanici sono troppo forti, e loro già soffrono di cervicale.
La linea di Wallace è perciò quel che si dice un confine “biogeografico”, cioè un bordo tra due aree in cui la biodiversità si è evoluta separatamente e si mantiene molto diversa. Un concetto che ci ricorda quanto ogni ecosistema sia spesso unico nel suo genere, e per questo abbiamo bisogno di sforzi per proteggerli e ripristinarli tutti.
Qui in video, se ve lo siete persi (e ancora non mi seguite su Instagram!)
🎲 Sosteniquiz!
La domanda di settimana scorsa era: “Chi sono i MICONAUTI?”
Risposta giusta: Esploratori delle reti fungine
Tutone blu da idraulico, microfoni, hipsterismo a palla. È l’identikit dei ricercatori di SPUN, l’iniziativa internazionale che vuole esplorare il mondo sotto i nostri piedi alla ricerca delle reti micorriziche, l’intricato cosmo di micelio che governa il traffico di segnali, impulsi e nutrienti del sottosuolo e che potrebbe nascondere la chiave per un mondo migliore. Praticamente, chiunque abbia mai affrontato i livelli sotterranei di Super Mario Bros ha fatto scienza senza saperlo.
👏 Bravi, il 92% di voi ha indovinato! Ecco la domanda di questa settimana:
💭 Scopri la soluzione nell’episodio di settimana prossima!
🍿 Un pop di clima qua?
“A me piace Vittorio Feltri. Ma solo quando lo investono”
Il Mago Forest è il migliore, e io con la Gialappa’s Band sono cresciuto (se questa newsletter vi fa ridere ogni settimana, è anche grazie a loro). Da quando hanno intrapreso il nuovo programma, il GialappaShow, Forest spesso si gioca battute a tema ambientale, tra attivisti, riciclo dei rifiuti, mobilità sostenibile (nell’episodio di lunedì 28 ha fatto riferimento all’idiozia disumana che Feltri aveva pronunciato un mesetto fa). Piccolo parere personale: era meglio la Gialappa’s con il signor Carlo, che purtroppo ormai non si fa più sentire né vedere, praticamente un ghiacciaio alpino. Altra vittima della crisi climatica? “Chi la nega, è un burfaldino!” avrebbe detto lui.
👉 E tu hai film, serie TV, romanzi, canzoni che fanno riferimenti gustosi a clima e ambiente?
Segnalameli e li inserisco settimana prossima!
Ciao, io sono Mattia Iannantuoni e questa è la fine di Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
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Alla prossima settimana!
Mattia