Bella CiaO2
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
Ciao! Questa settimana c’è stato il 25 aprile e vi parlo di una tema di cui volevo liberarmi.
Ecofascismo: “Italiaaaaani-aaaniiii-aniii-niii…”
Per essere una newsletter a tema crisi climatica e ambientale, cito troppo spesso i dittatori. Ma del resto Hitler era vegetariano e la marcia su Roma è stata fatta a piedi, in bici e giusto qualche monopattino elettrico. Pare inoltre che Mussolini fosse un campione del compostaggio, chi visitava il suo orto privato rimaneva estasiato dalla ricchezza floreale che vi trovava. “E questo bel tulipano rosso, che varietà è?” “Tulipa matteottis, nasce solo in un bosco vicino a Riano.”
Se nella settimana del 25 aprile di fascismo e anti-fascismo è doveroso parlare, in questo momento storico diventa fondamentale iniziare a discutere anche di ecofascismo. E di come nelle manifestazioni dovremmo cantare: “Siamo tutti anti-ecofascisti!”. Se non fosse che è fuori metrica, e che non è nemmeno vero. Perché no, non tutti lo siamo.
Non lo sono quelli che dicono che l’unica via d’uscita dalla crisi ecologica è limitare la popolazione perché siamo troppi. Né quelli che è inutile ridurre le emissioni, tanto sono cinesi e indiani il vero problema. Nemmeno quelli che guarda questo parchetto, prima era un gioiellino e poi sono arrivati ‘sti immigrati e l’hanno ridotto un porcile. Offensivo su tutti i livelli, intellettuale, sociale, morale. Pure per la scrofa, che poi in macchina si lamenta col porco: “Tu però gioielli non me li hai mai regalati.”
Ecofascismo. Da non confondere con gli eco-nazi di cui si lamentava Jovanotti l’estate scorsa, in risposta alle accuse di greenwashing mosse contro i suoi concerti sulle spiagge. Ma Jova è così, lo conosciamo, è un eterno ragazzo, irruento, spontaneo. Gli dici che non ha mai saputo rappare e ti dà del hiphop-nazi. Gli fai una multa per divieto di sosta, ti dà del vigile-nazi. Se a scacchi trasformi il pedone in regina per lo scacco matto, ti dà del pedo-nazi e allora forse è meglio se giochiamo a dama, che qui mi stanno già guardando male.
Ecofascismo è una teoria che sostiene che gli immigrati sono la causa della sovrappopolazione, che a sua volta è la causa della distruzione ambientale in Occidente. Allora l’unico modo per difendere l’ambiente (nazionale) è fermare l’immigrazione di massa con ogni mezzo disponibile. Una catena di cause-effetti talmente forzata e senza senso che è come mettere le tessere del domino troppo distanti tra loro per poi dover farle cadere colpendole una alla volta. E infine urlare: “Tana libera tutti!”
È una retorica falsa che fornisce una specie di giustificazione green all’odio per il diverso, alla chiusura dei confini, al rifiuto dell’inclusione. Cassidy Thomas, PhD della Syracuse University di New York, spiega infatti che gli ecofascisti sono di base i soliti ultranazionalisti populisti che sbraitano per la protezione della “civiltà” di cui fanno parte, e che come ulteriore motivazione si inventano una missione tesa a contrastare il degrado ambientale portato dai popoli altri. Perché le minoranze fanno un sacco di figli, consumano, inquinano, ci rubano il lavoro e anche le borracce. E vogliamo parlare degli autobus su cui viaggiano? Zozzi da fare schifo, guarda, per fortuna ormai mi sposto solo in SUV.
È insomma il greenwashing del nazionalismo, così plateale che sarà sponsor di Sanremo l’anno prossimo. Mente sul fatto che chi arriva ci sporcherà casa, quindi bisogna odiarlo ed escluderlo con la violenza. Quando basterebbe chiedergli semplicemente di togliersi le scarpe all’ingresso.
Sarebbe una roba tragicomica su cui farci giusto due risate e provare anche un po’ di pena. Tipo quando su YouTube leggi i commenti sotto i video che insegnano “l’arte del rimorchio” a uomini soli che incolpano le donne che non se li cagano. “Hai provato a farle vedere che pubblichi costantemente foto di cagnolini su Facebook?” Ma purtroppo l’ecofascismo è anche l’ideologia prefe dei mass shooter artefici di alcune stragi avvenute negli ultimi anni, da quello di Oslo del 2011 a quelli di El Paso e Christchurch del 2019, o ancora di Buffalo dell’anno scorso. Alcuni di questi si sono etichettati apertamente come ecofascisti. Tutti hanno vaneggiato circa la “protezione del nostro ambiente” tramite lo stop all’immigrazione di massa e la riduzione artificiale della popolazione delle minoranze. E pensare che un tempo i criminali pazzi si accontentavano di bramare la conquista del mondo.
Tutti questi pistoleri matti sono anche maschi bianchi nazionalisti e xenofobi, e questo marchio di fabbrica ha una coerenza storica. I padri fondatori del conservazionismo ambientale Occidentale, tra cui Teddy Roosevelt, John Muir, Madison Grant, e Gifford Pinchot, erano profondamente razzisti e certe loro convinzioni oggi ci fanno rabbrividire. Il loro approccio all’istituzione dei grandi programmi di protezione ambientale americani, che pure hanno fatto scuola nel mondo, sono stati modellati volutamente su profonde ingiustizie nei confronti delle comunità native. È documentato che il 26° presidente USA le detestasse, infatti sua è la frase: “Non arrivo al punto di pensare che gli unici indiani buoni siano gli indiani morti, ma credo che nove su dieci lo siano, e non dovrei indagare troppo a fondo sul decimo.” Vero è che al college non superò mai l’esame di statistica. Però in quello di cowboy prese 30L senza nemmeno studiare.
Per John Muir, il papà dei parchi nazionali degli States, i nativi erano sporchi e non avevano spazio nel panorama ambientale. “Forse forse se li vestiamo da abeti?” si chiese una mattina che si era svegliato straordinariamente conciliante.
Madison Grant era un appassionato di eugenetica e professava la “superiorità della razza del Nord” nei confronti delle altre, infime e da ghettizzare. Un suo testo del 1916, The passing of the great race, fu notoriamente apprezzato da Hitler, che arrivò a definirlo “la mia Bibbia”; si dice che in un viaggio diplomatico volle incontrarlo per farsi autografare il ciuffo. Lo stesso testo è amato dagli ecofascisti moderni: vi ricordate lo sciamano QAnnon dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021? Cita Grant tra le sue fonti di ispirazione. E così fa Breivik, lo stragista islamofobo di Oslo, che del testo di Grant ha detto: “È il mio Corano.”
Il nazismo tedesco e il fascismo italiano dello scorso secolo proponevano posizioni di ambientalismo molto comuni a quelle degli americani di cui sopra. I leader del pensiero nazista chiedevano ai tedeschi di combattere contro la degradazione dell’ambiente teutonico, e dunque di riappropriarsi del proprio spazio vitale e cacciare da lì tutti i non-tedeschi che ne minacciavano l’ecosistema. In questo troviamo le radici della fissa per il Blut und Boden, “sangue e suolo”, ma non sulla moquette che se no lascia la macchia. Probabilmente anche le leggi di conservazione naturalista e la spinta verso l’agricoltura bio del 1935 derivano da quello. I nazisti sostenitori del bio per giustificare il proprio nazionalismo… ora capisco perché la tizia del mercato contadino del sabato mi dà il resto col saluto romano! Pratica che ho sempre trovato non solo di cattivo gusto, ma soprattutto scomoda visto che poi sono io che devo raccogliere le monetine da terra.
Come fanno notare Armiero, Biasillo e von Hardenberg, per i regimi nazi-fascisti la protezione ambientale era solo e soltanto strumentale a costruire la propaganda della razza dominante e della cultura delle battaglie. A una certa Mussolini, in cerca di un nemico, lanciò addirittura una “guerra alle capre” colpevoli di dissestare le aree boschive d’altura. Ma dopo qualche mese, le capre distrussero tre battaglioni dell’esercito italiano e ne catturarono un quarto, poi rilasciato in cambio di un treno merci carico di sale.
Dunque, l’ecofascismo nasce a inizio Novecento e gli sopravvive. Perché oggi è tornato rilevante?
In parte perché c’è chi diffonde le sue concezioni distorte per polarizzare la conversazione e cavalcarla a proprio favore. Se avete seguito la vicenda di Fox News dell’ultima settimana, saprete che dopo avere pagato una cifra esorbitante per evitare una causa di diffamazione legata alle bufale sui brogli delle ultime presidenziali, il canale ha deciso di licenziare il suo megafono di punta, Tucker Carlson. Negli ultimi anni, Carlson ha servito quotidianamente un buffet di fake news negazioniste di ogni tipo (dal clima ai vaccini) a un pubblico super bianco, e ovviamente non ha mai lesinato sul condimento ecofascista. Ha spesso sostenuto che il governo liberal dei Democratici permettesse a ondate di immigrati illegali di riempire il Paese, rendendolo sempre più affollato, sporco e inquinato; arrivando perfino ad annunciare, convinto, che i roghi estivi della California fossero causati dai loro fuochi d’artificio. Quella sera, perfino Nerone ha cambiato canale.
L’altra parte di spiegazione del revival delle idee ecofasciste è che offrono una soluzione comoda per chi cerca un capro espiatorio per la crisi ambientale che si fa sempre più evidente. Il partito Repubblicano degli Stati Uniti è stato storicamente negazionista sul riscaldamento globale, poiché dipendente dai soldi dell’industria fossile come io tredicenne dalla paghetta di mio padre (per cinque euro extra avrei negato l’esistenza di nonno). Ma il suo elettorato oggi fa fatica ad accettare che siccità, incendi, ondate di calore, uragani, bufere semplicemente non esistano. Soprattutto quello più giovane, conscio di doversele vivere più di tutti gli altri. E allora i conservatori si trovano costretti ad abbracciare la questione climatica e ambientale. Come fare però senza rinunciare allo stampo razzista e nazionalista su cui basano i propri valori? Ecco che la narrazione “sono loro che ci stanno distruggendo l’ambiente” cade a fagiolo. Purché non messicano.
Paradossalmente, il pensiero della difesa delle frontiere sa spesso invadere i confini del grottesco. Pensate che il think tank anti-immigrazione Center for Immigration Studies, fondato dall’eugenista suprematista bianco John Tanton (altra ispirazione degli ecofascisti) e al servizio di Trump durante la sua campagna elettorale del 2016, ha pubblicato lo scorso dicembre un articolo sul proprio sito in cui sosteneva che “uno dei problemi di portare nuova gente [negli States] è che mentre il loro impatto negativo sull’ambiente è minimo nei loro Paesi d’origine, quando arrivano incominciano a fare come gli americani, a guidare macchine, usare i combustibili fossili, e quindi danneggiare l’ambiente proprio come fanno gli americani.” Vi suona familiare? È proprio questa scena:
In Europa la situazione è simile. Il partito di estrema destra tedesco AfD, storicamente negazionista climatico, ha iniziato a propagandare posizioni ecofasciste dopo la popolarità guadagnata nel 2019 dai Verdi. “Le questioni climatiche smuovono più persone di quelle che pensavamo,” hanno fatto sapere ai capi dell’AfD i militanti dell’area giovanile. Che poi hanno rettificato anche il suggerimento di farsi la frangia con il mullet. “È più ridicola di quello che pensavamo,” hanno ammesso.
In Francia, Marine Le Pen sostiene che “la preoccupazione per il clima è intrinsecamente nazionalista, perché chi è nomade non si preoccupa dell’ambiente, non avendo una patria.” A queste parole, dette sul palco della conferenza dal titolo Conservazione ambientale e Un, due, tre… stella!: una sfida comune, è seguita una lunga standing ovation da parte dei sassi presenti in platea.
Casapound qui in Italia aveva nel 2020 un’iniziativa “ecologista” dal nome Foresta che Avanza, anche se molto molto piano. Organizzavano ogni sera il plogging con annessa spedizione punitiva contro banani, palme e aiuole all’inglese.
Un’altra convinzione propinata dalla teoria ecofascista è che le élite di sinistra vorrebbero portare avanti una “sostituzione etnica” dell’uomo bianco con masse di minoranze straniere.
Vi suona familiare pure lei? Questa volta è il cognato.
L’ecofascismo è un pericolo attraente. Sussurra un senso di scopo e una chiamata alle armi all’orecchio di quei giovani disillusi da una politica che non fa nulla contro la crisi ecologica. Giovani spaventati dal futuro, così tanto da fare follie, come una sparatoria di massa o iscriversi a Economia. Lo spiega bene Naomi Klein, autrice e attivista, che vede una grande rabbia lì fuori che si intensifica man mano che gli eventi climatici estremi si fanno più diffusi: “C’è chi sa guidare bene la rabbia verso i più vulnerabili tra noi, proteggendo al contempo i più potenti e più colpevoli.” Come un autista di autobus che salta tutte le fermate tranne quelle in cui si sono appostati i controllori.
Dunque, come ottant’anni fa, a noi oggi tocca la resistenza. Il primo passo è riconoscere gli argomenti dell’ecofascismo e smontarli. Il mito dell’overpopulation che causa di tutti i mali e la folle concezione che se sei un migrante allora inquini di più sono semplicemente incorrette: chi cresce di più demograficamente, ossia le popolazioni nei Paesi più poveri, è anche chi impatta meno sull’ambiente. L’1% più ricco della popolazione mondiale, al contrario, è stato responsabile di più del doppio delle emissioni di gas serra dell’intera metà più povera tra il 1990 e il 2015. Se consideriamo il 10% più ricco della popolazione mondiale, scopriamo che ha causato il 50% di tutte le emissioni. Ecco dove sta la colpa, non in terra, non in cielo, non in mare. Ma nel privilegio del Nord del mondo.
Amici e amiche ecofascist*, mi rivolgo a voi. Se proprio proprio volete manganellare qualcuno fino a sterilizzarlo, perché ormai lo so che avete fatto l’ordine su Amazon e non potete più fare il reso, vi invito a farlo. Fatelo! Con la giusta priorità, però. Salvate la nostra bella natura nazionale, fermate il degrado ambientale, annichilite la crisi climatica! La cara Patria vi chiede il sacrificio: il nemico è nelle vostre gonadi.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
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Mattia