Brutto tackle
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
Ciao!👋 Questa settimana elaboriamo la sconfitta dell’Inter in Champions League. Da un punto di vista climatico, ovviamente 🏆⚽
“Non sto dicendo che Lukaku avrebbe sicuramente segnato quel gol di testa davanti alla porta se fosse stato alimentato a energia rinnovabile. Però se pensi quanto a noi interisti siano girate le pale eoliche quando ha bloccato il colpo di Dimarco, magari l’avrebbe messa con più forza.”
Il calcio ha una brutta dipendenza dai soldi dell’industria del fossile. Industria che possiede alcuni dei club più importanti d’Europa, tra cui il Paris Saint-Germain, il Nizza, il Chelsea (che prima della guerra in Ucraina era la squadra dell’oligarca russo Abramovič). Il New Castle, proprietà di PIF, non quello de Il Testimone ma il fondo di investimenti pubblici dell’Arabia Saudita. Che comunque La mafia uccide solo d’estate l’ha vista, anche se solo nella versione fiction su RAI 1. Il Manchester City, il neo campione d’Europa, di proprietà del vice presidente e vice primo ministro degli Emirati Arabi Uniti Mansur bin Zayd Al Nahyan; oleoso Golia che ha sconfitto in finale l’Inter, mia piccola Davide, che pure è stata per anni proprietà di Moratti (prima padre poi figlio) la cui fortuna è legata ugualmente al petrolio. Ma essendo in un barile più piccolo, dovrebbe essere eticamente più buono… no?
Secondo una ricerca svolta da The Athletic, 16 delle 25 più grandi aziende del fossile sono state coinvolte attivamente come proprietarie o come sponsor di club e di competizioni calcistiche negli ultimi 3 anni. I Paesi che devono la propria infinita ricchezza al commercio di gas e petrolio si possono oggi togliere lo sfizio di ospitare i Mondiali anche in inverno, di fare shopping nel calcio mercato europeo con le bustone dell’IKEA, di portare Cristiano Ronaldo, uno dei due calciatori più forti di quest’epoca, a finire la carriera nel loro anonimo campionato concedendogli di mixare calcio e lotta libera impunemente. Il tutto ricoprendo lui, loro e gli altri con centinaia di milioni di dollari. Che poi non avranno caldo con tutti quei soldi addosso, nell’arido clima arabo? “Tranquilli, negli spogliatoi vi facciamo trovare un ventilatore di diamanti.”
Tra tutti gli sport, il calcio è quello che più attira investimenti dalle aziende che generano maggiori emissioni di gas serra - non solo le big dei combustibili fossili, ma anche le linee aeree, i produttori di auto, le banche che finanziano i progetti di espansione di gas e petrolio. È normale che uno sport sia così negativamente legato all’atmosfera?
È una relazione ambigua, la loro. Definiamola tossica. Letteralmente tossica. Il calcio è sensibilmente colpito dagli sconvolgimenti del clima e dall’inquinamento. Uno studio del 2020 stima che un quarto di tutti gli stadi di calcio inglesi saranno a rischio allagamento in ogni singola stagione, da qui a metà secolo. I calciatori inglesi indosseranno pinne coi tacchetti, i guardalinee segnaleranno il fuorigioco con il periscopio. Se l’intensificarsi degli eventi più estremi, come tifoni, tempeste, incendi, alluvioni, comprometterà via via la regolarità con cui si svolgeranno le partite, nel breve periodo saranno scarsa qualità dell’aria e ondate di calore a inficiare sul gioco. Sembra infatti che l’inquinamento dell’aria influenzi negativamente qualità e quantità dei passaggi, scatti e distanze percorse, e metta in svantaggio le squadre che giocano fuori casa in città molto più inquinate della propria. Chiunque si sia mai chiesto come faccia uno come Roberto Gagliardini a giocare nell’Inter, tra le squadre più forti della Serie A, guardi il bollettino dell’aria di Milano.
Alcuni studi dimostrano che nella NFL, la lega di football americano, temperature più alte portino a commettere più falli da comportamento aggressivo. Traslato nel nostro campionato di calcio, teste calde come Nicolò Barella presto potrebbero essere messe in campo solo in inverno, onde evitare l’immancabile cartellino giallo o, alla peggio, la custodia cautelare. Se aumenta il caldo diminuirebbe addirittura il tempo a disposizione di un portiere per parare un rigore; per aiutarlo durante le partite, gli ultras inizieranno a lanciare ghiaccioli dagli spalti, insieme ai soliti insulti razzisti. Ondate di calore e inquinamento colpiscono anche il pubblico allo stadio, gli allenatori, gli arbitri. Immaginate la frustrazione di vedersi un fallo non fischiato perché il direttore di gara è evaporato al 37° del secondo tempo.
Nonostante questo scenario sia a dir poco gramo, chi gestisce il calcio ha finora dimostrato di amare più i soldi che il gioco, forse perfino più dei propri figli. Dicono che il presidente FIFA Gianni Infantino ogni sabato pomeriggio vada a fare due tiri ai giardinetti con il suo portafoglio. “E suo figlio?” gli chiedono i passanti. “Mannaggia, devo averlo lasciato nella tasca degli altri pantaloni!” Ma se è per questo motivo che il mondo del calcio va verso le montagne di soldi del fossile, chiediamoci anche perché le montagne di soldi del fossile vogliano andare al calcio. È solo per evitare i proverbiali litigi con il Profeta, che da secoli propone di incontrarsi a metà strada, per una volta?
No. Questi ingenti flussi di denaro servono per comprare una vera e propria “licenza sociale per operare”: chi supporta il calcio viene necessariamente visto con un occhio di riguardo dal tifoso, e il calcio, di tifosi, ne ha a centinaia di milioni. Finanziare una cosa tanto amata significa creare quella strana dissociazione che si prova quando una persona a noi cara fa qualcosa che riteniamo sbagliato, come il nonno che a tavola se ne esce con l’ennesima sparata razzista. Non è che smettiamo di volergli bene. L’enorme danno fatto al pianeta e ai suoi abitanti dalla azienda fossile di turno si ridimensiona quando, grazie ai suoi soldi, la nostra squadra del cuore compra un attaccante fenomenale. “Purché sia bianco” precisa il nonno.
Il professor Marco Grasso, che nel novembre 2022 aveva rassegnato le sue dimissioni dalla Bicocca proprio a seguito della partnership tra l’università e ENI, spiega che spendere soldi in sponsorizzazioni significa, per le aziende del fossile e per le loro cugine ad alte emissioni, “rinegoziare la legittimità sociale necessaria per continuare a operare con i loro prodotti dannosi”, così da “lavarsi la coscienza con azioni che non sono legate ai combustibili fossili brutti e cattivi, ma a cose socialmente apprezzate.” L’autore Toby Miller indica che gli effetti di questo sportwashing sono variegati: vanno dal miglioramento dell’immagine pubblica di queste compagnie alla normalizzazione della presenza dei loro prodotti nella nostra società, fino addirittura allo spostamento del focus sulle piccole azioni del cittadino singolo invece che sui grandi cambiamenti di sistema. Un esempio su tutti, il maledetto Manchester City in passato ha lanciato una campagna di sensibilizzazione dei propri fan in cui li incoraggiava a riciclare la plastica premiandoli con miglia aeree gratuite da spendere in voli Etihad Airways. Ossia colpevolizzavano l’individuo su una responsabilità piccolissima, in cambio di un premio che comporta un impatto ambientale negativo ben maggiore. È un po’ come se chi tradisce costantemente il proprio partner, lo riempia di regali, viaggetti e cenette fuori in ristoranti romantici:
“Scegli pure con calma, amore, io intanto vado a dire una cosa a quella cameriera bionda.”
Si sportwasha sulla sostenibilità ambientale, ma anche su quella sociale. Pensiamo per esempio a Gazprom, che prima dell’invasione in Ucraina spendeva miliardi per sponsorizzare squadre di mezza Europa nonché l’intera Champions League, e mentre tutta la retorica delle partite si riempiva di hashtag no razzismo, no odio, no disuguaglianze, no guerra, la Gazprom rinfoltiva il proprio esercito privato (Potok) per poi spedirlo al fronte. Dove in questi mesi si è dimostrato poco incisivo sulle manovre d’assalto, ma fortissimo sui calci piazzati.
Più andiamo avanti in questo secolo, più il calcio avrà bisogno di soluzioni climatiche. Riorganizzare la geografia e il calendario delle competizioni, attuare scelte logistiche a minor impatto, e così nuovi sistemi per ridurre l’esposizione di atleti e spettatori a clima, meteo e ambiente avversi. Ma oggi, adesso, quello che ci serve più di qualsiasi altra cosa è che svincoli la propria comunicazione da quella dell’industria del fossile. Il calcio influenza le scelte di centinaia di milioni di persone nel mondo. Pensate ai bambini che vanno dal parrucchiere a chiedere i capelli come il loro campione preferito, rigati come El Shaarawy, sbarazzini come Dybala, colorati come Theo Hernández, pippofranchiani come Mkhitaryan. Smettere di riempire ogni singola partita coi messaggi pubblicitari dei combustibili fossili, dei motori a scoppio, delle compagnie aeree, insomma dei nostri peggior nemici climatici potrebbe essere una buona idea. Siamo riusciti a farlo con il tabacco, che a metà del secolo scorso era onnipresente nello sport, possiamo farlo anche con loro. Sebbene sarei pronto a rimangiarmi tutto se ENI mi portasse Mbappé all’Inter.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Le pubblicità bloccate per greenwashing nel Regno Unito (Il Post). Bloccati gli spot di Shell, Repsol, Etihad e Lufthansa che raccontavano l’impegno nei progetti a bassa emissione: ritenuti ingannevoli. Con l’aggravante che non li si poteva nemmeno skippare su YouTube.
Processo alla Tirreno Power, chiesti 86 anni di carcere per gli ex dirigenti della centrale a carbone (LifeGate). L’accusa è di disastro ambientale e sanitario, ma i 25 imputati dirottano la responsabilità altrove: “Tutta colpa della befana.”
Energia rinnovabile al 100 per cento? L’Italia può farcela, uno studio rivela come (Icona Clima). La sintesi degli autori: “Basta votare meglio.”
La legge europea per la protezione della biodiversità rischia di essere affossata dai partiti di centro-destra (The Guardian). Perché finché “bio”, ancora ancora. Ma a loro quel “diversità” non va proprio giù.
Torna il Teatro a Pedali con i suoi spettacoli che uniscono arte e sostenibilità. Solo pedalando si illumina la scena (Icona Clima). Comodo, perché se ti addormenti non ti perdi il finale.
Da Rimini a Pola, così le città della costa adriatica si adattano al clima che cambia (Green and Blue). A fronte dell’innalzamento del livello del mare, le panchine in piazza verranno noleggiate alla giornata, 10 euro in più se vuoi l’ombrellone.
Sudata fredda:
Pichetto Fratin a Sky TG24: “Non credo allo stop delle auto a benzina nel 2035” (Sky TG24). Secondo il Ministro dell’Ambiente le auto sarebbero state create col motore a combustione dal Signore, a partire da una costola di una carrozza.
L’eredità ambientale di Berlusconi, tra dipendenza dal gas russo e impegni Ue sabotati (Greenkiesta). E il ricordo di quelle notti tra barzellette sui faggi e piantine minorenni…
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Mattia