Disney blaming
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
Ciao!👋 Questa settimana espongo le mie vergogne 🏰
Ma prima vi segnalo che è uscita QUI la mia intervista nel podcast Ma cosa c’è di tanto difficile? nella quale dialogo di comicità climatica (e quindi di questa newsletter) con Daniele Scaglione, autore di Più idioti dei dinosauri. Fatemi sapere cosa ne pensate dopo averla ascoltata, rispondendo a questa newsletter, commentando qui sotto o scrivendomi su Instagram!
Ma la ratatouille preparata da un ratto è comunque vegana?
L’altro giorno un mio amico mi ha detto di essere stato a Disneyland Paris, di essersi divertito un sacco e che devo assolutamente andarci. Mentre raccontava, mi sono ritrovato ad aprire il sito del parco divertimenti, a controllare i voli, a pre-pianificare un possibile weekend. Appena me ne sono accorto, però, ho provato un forte senso di colpa e una profonda vergogna. E non perché il mio amico aveva un bambolotto di Woody di Toy Story attaccato col velcro alla spalla, nonostante abbia ormai superato i 35. E nemmeno perché era vestito da Cenerentola.
No, mi sono sentito in colpa per la facilità con cui mi sono scoperto disposto a volare a/da Parigi per togliermi il solo sfizio di visitare un parco divertimenti, in un tripudio di consumi, luci, merchandising. Venduto, per altro, da una delle multinazionali più voraci di sempre. In uno Stato che scioglie i movimenti delle organizzazioni ecologiste con la stessa leggerezza di Umberto Balsamo con le acconciature equine, trasformando gli ideali democratici della presa della Bastiglia in un fantasma antitetico.
“Più che la Bastiglia sembra una supposta.”
“Ecco perché aveva un saporaccio.”
La vergogna è arrivata dopo il senso di colpa: ipocrita, mi sono detto, con tutto il tempo che passi a parlare di crisi climatica, seriamente non vedi l’ora di prendere un aereo per goderti un weekend tra mascotte di gommapiuma di personaggi che probabilmente nemmeno conosci, tu preistorico ragazzo del 21 a.F. (avanti Frozen)? “M-ma i cartoni animati almeno s-sono riciclabili…” ho provato a giustificarmi, “guarda le storie, sono anni che usano sempre le stesse!” Eppure, l’impronta ecologica di una scelta del genere dovrebbe essere per me ingente, ingiustificabile e innecessaria, che per altro è la stessa cosa che dico del dizionario.
A qualche giorno di distanza, mi sono interrogato su quel mio biasimo. Non è che ho un po’ esagerato le prospettive? Quanto è giusto che mi metta in croce per azioni individuali che sulla crisi climatica hanno la stessa influenza di una goccia nell’oceano? Quanto, anzi, questa autoflagellazione fa il gioco di chi davvero potrebbe cambiare le cose? E sceglie invece di ritardare la transizione ecologica spostando sul consumatore tutta la responsabilità con la retorica che “il percorso verso un mondo vivibile è fatto di rinunce personali”, di sacrifici da compiere, di Calvari da raggiungere, ma Cristo se continui a inciampare così al Sepolcro ci arriviamo fra un secolo, altro che Pasqua.
Allora proviamo a mettere le cose a fuoco, come dice sempre un mio cugino piromane. Un recente studio ha aggiornato le stime sul carbon budget, quella quantità di CO2 che globalmente possiamo emettere prima di superare la soglia dei 1.5-2°C di aumento delle temperature. A gennaio 2023, erano circa 150 giga tonnellate la quantità limite per avere il 66% di possibilità di rimanere sotto il grado e mezzo. Nel 2021, quindi due anni prima, l’Assessment Report dell’IPCC ne indicava 400. Significa che la traiettoria con cui vorremmo vedere scendere a zero le emissioni diventa sempre più ripida, come una montagna russa che ha deciso di farla finita. Se avessimo iniziato a ridurre le emissioni quando il cambiamento climatico è diventato per la prima volta materia di dibattito pubblico (ben 70 anni fa!) la discesa sarebbe stata più dolce di quella del prato davanti a casa del nonno di Heidi. Di chi è la colpa se ciò non è successo? Non guardate Peta.
Perché queste emissioni potevano - e possono - ridurle i grandi decisori politici ed economici. Che però in quest’ultimo secolo hanno preferito costruire un sistema di produzione indiscriminata e di iperconsumi miopi, dimostrandosi follemente innamorati dei profitti fino al punto di compromettere le sorti dell’umanità intera. E dire che all’inizio doveva essere solo una storia di sesso.
In questo sistema siamo nati noi tutti, in questo sistema agiamo ogni giorno, in questo sistema ci è concesso di programmare veloci weekend a Disneyland e porci il problema degli eventuali impatti se e solo se decidiamo di farlo, come libera scelta personale. Quando decidiamo di farla, benissimo, il sistema è ben felice di scaricarci addosso tutto il senso di responsabilità che desideriamo. Perché? Perché se sei convinto di essere tu il colpevole, non ne cercherai altri.
La responsabilizzazione dell’individuo è una mossa da manuale sin dai tempi dello spot The Crying Indian della campagna Keep America Beautiful dei primi anni 70. Mostra un finto nativo americano, interpretato da un attore italiano, che realizza ci siano cartacce ovunque, plastica nei fiumi, nei prati, ai bordi della strada. A una certa, da un’auto in corsa gli lanciano addirittura un sacchetto colmo di monnezza ai piedi. “La gente ha causato l’inquinamento, la gente può fermarlo” tuona la voce del narratore, mentre l’italo-nativo-americano (come si chiamerà, secondo voi? Fisco Frodato?) fissa dritto dritto in camera e piange, forse nostalgico del Bel Paese, con una vistosissima lacrima sulla guancia che solo più avanti si è rivelata essere anch’essa finta - era in realtà un attore piccolissimo e trasparente, anch’esso italiano.
Lo spot è victim blaming allo stato puro. Soprattutto perché Keep America Beautiful è una greenwashata mostruosa nata nel 53 da una cordata di produttori di packaging americani che quell’inquinamento lo avevano esportato in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Eppure lo spot sarebbe rimasto nell’immaginario ambientalista (e non) per anni, e la dinamica di responsabilizzazione si sarebbe ripetuta ancora e ancora. Pensiamo al concetto di “carbon footprint personale” secondo cui possiamo calcolare e dunque ridurre la nostra personalissima fetta di emissioni di gas serra. BP, tra le grandi dell’Oil&Gas, è quella che ha progettato e finanziato la campagna di comunicazione che lo ha diffuso. Come lei, Shell e le loro consorelle sfruttano oggi la carbon footprint per ricordarci costantemente che solo con il nostro impegno potremo ridurre le emissioni, e anzi loro sono qui per aiutarci a farlo. “Anzi, basta che ce lo chiedete e noi vi facciamo fuori lo zio con il SUV.”
Parafraso le parole di un amico che dice sempre quanto nei confronti della crisi climatica la cosa più importante che una singola persona possa fare sia essere meno individuo e più collettività. Essere collettività significa votare, parlare, manifestare, boicottare, proporre e supportare leggi, mettere in piedi, costruire. È la collettività che può risolvere le cause dei problemi climatici, mentre l’individuo si occupa delle (proprie) briciole.
E nelle mie briciole di responsabilità, dunque, ci sta o non ci sta Disneyland Paris? Non lo so. So solo che non posso evitare di convivere con questo bilancino morale con cui soppeso le scelte del mio quotidiano, tra risentimento e inadeguatezza, tra rabbia e vergogna. Posso però sforzarmi di rimettere le cose in scala e distinguere tra ciò che ha senso caricarmi sulle spalle e ciò che è doveroso rimandare ai veri colpevoli. Come un Simba che, davanti all’apparizione di Mufasa in cielo che lo accusa di averlo dimenticato, non ci sta e risponde che sono lui e lo zio Scar ad averlo messo in condizione di farlo - rendendolo orfano in una famiglia adottiva, straniera, omogenitoriale e inter-specie che si ciba solo di insetti, roba che in Italia i carabinieri ti vengono a prendere nel sonno.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
AstraZeneca si impegna a piantare e monitorare 200 milioni di alberi nel mondo entro il 2030 (The Guardian). I complottisti del covid l’accusano di aver messo semi di banano nei vaccini. “Da dopo la seconda dose mio figlio continua a scivolare.”
La Gran Bretagna ha perso la leadership sull’azione climatica, non sta facendo abbastanza (La Svolta). Il primo ministro Sunak intenzionato a prendere la cosa estremamente sul serio, ha già chiesto aiuto a net-007.
Deforestazione e incendi: nel 2022 persi 11 campi da calcio di foresta ogni minuto (Icona Clima). È ora di migliorare la difesa, o almeno di cambiare portiere.
Il granchio blu ha invaso il delta del Po (Il Post). La specie aliena mette a rischio gli allevamenti di vongole, destando confusi rancori sopiti nei pescatori più anziani: “Ecco, sono tornati i terroni.”
Nei mari della Calabria sono stati avvistati due pesci scorpione (Sky Tg24). Attenzione a non toccarne le spine, sono estremamente piccanti.
Traghetto avvista 40 balene in un viaggio fra Liguria e Corsica (Ansa2030). Sui social i cetacei si sfogano: “Nel Mediterraneo non c’è più privacy.”
Case costruite grazie al riciclaggio di pannolini usa e getta (Icona Clima). Esempio innovativo di economia circolare che però non convince il nuovo proprietario: “Sta casa è una merda.”
Sudata fredda:
Il governo vuole migliorare la sicurezza stradale strozzando la mobilità sostenibile (Greenkiesta). Il nuovo Ddl per la riduzione delle vittime sulle strade non prevede alcuna misura sulla moderazione della velocità delle auto, che però è la prima causa di morte per chi va in bici. Salvini spiega: “Nessuna ciclista morirà in strada, se gli impediremo di starci.”
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Mattia
Totalmente innamorato di questo numero.