Dopo il 27 c'è il 15
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
👋 Cia-ciao, oggi vi racconto di COP15🇺🇳 e di come gli animali ci aiutano ad affrontare la crisi climatica! 🐐
Questa settimana è iniziata COP15, la conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, cioè l’incontro in cui i governi del mondo provano a darsi un piano su come salvare l’intero ecosistema che ci dà da bere, mangiare, respirare, vestire, costruire e ci fa pure dei bei regali a Natale.
COP15 ha la presidenza cinese ma si tiene a Montreal. Non che in Cina non ci fosse spazio per ospitare tutti i partecipanti - più di dieci mila - ma con le norme anti-covid e tutto si rischiava di rimandarla nuovamente. Meglio quindi spedirla in Canada come l’avessero presa su Amazon. Nel caso oh, si può sempre fare il reso.
La presidenza cinese in realtà non sembra tenerci troppo. Ha perfino chiesto ai capi di governo di non presentarsi nemmeno, rivolgendo l’invito a partecipare solo ai ministri interessati e ai leader delle ONG. “Non è che non ti vogliamo, eh, ma le sedie sono quelle che sono. E poi sai, è più una cosa tra colleghi di lavoro…” Un non-invito che si è infilato perfettamente nei recenti dissapori tra Cina e Canada, tant’è che quel bel ciocco d’acero del primo ministro canadese Justin Trudeau si è presentato lo stesso. Alla porta hanno provato a fermarlo, lui ha fatto sfoggio dei suoi temibili addominali e come fai a tenere fuori uno che sa fare certe cose?
Ora, quali sono gli obiettivi di COP15? I più speranzosi vorrebbero vedere uscire un “Accordo di Parigi sulla biodiversità”, ossia un patto globale capace di scatenare un vero momentum nella volontà delle nazioni di riconoscere che senza un ecosistema in salute non potremmo sopravvivere. L’ultima volta che ci eravamo dati degli obiettivi concreti sulla biodiversità, undici anni fa, abbiamo però fallito miseramente. Dovremmo smetterla di prendere certi impegni a ridosso di Capodanno, forse? Per trovare una nuova armonia con la natura, d’altronde, non basta ingozzarsi di lenticchie a mezzanotte.
Eppure, il 19 dicembre, se tutto va bene, adotteremo il Post-2020 Global Biodiversity Framework, di cui nel momento in cui scrivo esiste solo un testo pieno di parentesi quadre [oltre 1400, esclusa questa] che i delegati dovranno riempire entro la fine dei negoziati. Ci dirà come i Paesi, da soli e in cooperazione, pensano di fermare la perdita di piante, animali, funghi e microorganismi, di natura tutta, e anzi invertire il trend. Il punto più popolare tra quelli discussi è il 30x30 o “30 by 30”, ossia proteggere almeno il 30% delle terre e il 30% degli oceani entro il 2030. Suona catchy e la Scienza ci dice che questo significherebbe dare uno spazio sufficiente a flora e fauna per incominciare a riprendersi in attesa che noi umani ne diamo loro di più. Ma in queste settimane si sta confermando essere un tema estremamente dibattuto. Soprattutto perché storicamente ha fatto fatica a mettere al centro logiche di giustizia sociale e di rispetto dei diritti dei popoli indigeni, e non a caso si parla della necessità di decolonizzare l’approccio alla conservazione.
“Ma l’avevamo appena colonizzata!” si lamentano alcuni stati del Nord Globale.
Arrestare e invertire il declino della biodiversità non è solo roba di lasciare un angolino a flora, fauna, funghi, batteri e magari anche al dolce dopo il caffè. È anche roba di intervenire sull’agricoltura e sui pesticidi, rinaturalizzare gli spazi antropizzati e creare corridoi ecologici - che non sono quelli con i cestini per la differenziata ma questi qui. È roba di regolamentazione delle attività estrattive, che sono gestite da gente senza cuore nelle miniere così come nella tombola.
È poi roba, brutta roba, di programmi di eradicazione delle specie invasive, tipo ratti, capre, mufloni e altri animali (miao?) che noi umani abbiamo portato in habitat dove prima non esistevano e lì hanno causato sfaceli. In particolare nelle isole, dove si stima abbiano causato le peggiori ecatombi e dove programmi mirati a rimuovere le popolazioni invasive risultano una manna dal cielo per il ripristino della biodiversità autoctona. L’idea di dovere organizzare uno sterminio di popolazioni animali invasive è tosta da accettare, perché ci mette di fronte al dilemma morale del treno. Avete presente? Il treno si sta dirigendo su un binario al quale sono state legate dieci persone, e noi potremmo salvarle azionando una leva che dirotterebbe il treno su un altro binario al quale è legata una persona sola. Voi azionereste la leva? I mufloni no.
Sono certo tuttavia che se sentiremo parlare di COP15 nelle prossime settimane, le parole si concentreranno sul 30x30. E che piaccia o meno, quello dello spazio di vita resta comunque un argomento fondamentale nella discussione sul rapporto conflittuale tra l’essere umano e le altre specie. Come i braccioli sugli aerei, senza una chiara convenzione su quale è mio e quale è tuo sarà sempre un continuo sgomitare. E vi voglio vedere a sgomitare con un cinghiale.
Una cosa è bene notare in quel mio se. La biodiversità è come Trilli di Peter Pan, se la ignoriamo muore. COP15, più di quelle sul clima, ha un disperato bisogno dell’attenzione dell’opinione pubblica. Senza pressione sui rappresentanti politici, un tema non viene mai preso sul serio, e il tema qui è la nostra sopravvivenza.
Nonno Guterres ha già droppato il suo nuovo pezzo dal titolo Orgy of destruction, nel quale troviamo i versi:
Humanity has become a weapon of mass extinction
This conference is our chance to stop this orgy of destruction
We are treating nature like a toilet.
(L’umanità è diventata un’arma di distruzione di massa/Questa conferenza è la nostra possibilità di fermare questa orgia di distruzione/Stiamo trattando la natura come un cesso).
Una ballad più triste di Highway to climate hell che avevamo conosciuto a novembre, ma in cui si nota la grande espressività dell’artista. Chissà se lo vedremo ospite a Sanremo insieme agli Articolo31? Lo spero, perché difficilmente i media, e di conseguenza noi, stanno parlando di biodiversità con la giusta partecipazione. Se però siamo così intenzionati a contrastare la crisi climatica, dobbiamo necessariamente farlo. Lo ripetiamo spesso qui su Ride verde chi ride ultimo: crisi climatica e crisi della biodiversità sono sfide gemelle e non possiamo risolvere una senza risolvere l’altra. Il loro destino è legato. Un po’ come Harry Potter e Voldemort, ma in positivo.
🐂Animali per il clima
Le capre sono delle ottime pompiere, lo sapevate? Mangiano erba secca e la calpestano, evitando diventi combustibile per gli incendi estivi. A Barcellona quest’anno è stata schierata una brigata di circa 290 esemplari, tra cui anche alcune pecore - ma non è che possiamo essere tutti dei leader nati. Il compito: pascolare nelle zone che solitamente prendono fuoco. La riserva naturale Faia Brava del Nord del Portogallo già una quindicina di anni fa aveva avuto la stessa idea e aveva chiesto aiuto a 46 cavalli Garrano, una razza di pony in via di estinzione. Una manovra intelligente che aveva dato una botta di autostima incredibile a questi cavallini.
Gli elefanti africani delle foreste ricoprono il ruolo di giardinieri climatici in Congo. Cercando cibo, calpestano i cespugli che crescono rapidamente regalando spazio di manovra agli alberelli, che potranno così crescere meglio e sequestrare anidride carbonica durante la loro vita. In acqua, le lontre marine fanno lo stesso con i ricci di mare. Se i ricci non venissero mangiati da queste, divorerebbero a loro volta le foreste di alghe marine che proprio come le piante di terra catturano molta CO2. Il ruolo delle lontre in questi ambienti è imprescindibile, tanto che non appena in Puglia è stato proposto lo stop alla pesca dei ricci fino al 2025, molti pescatori baresi hanno iniziato a ricoprirsi di pellicce e nuotare a pancia in su.
Nelle regioni polari, la presenza di grandi animali permette di aumentare l’esposizione delle radure innevate, la cui superficie bianca aiuta a riflettere meglio la radiazione solare verso l’atmosfera, raffreddando di conseguenza le temperature di superficie. Nella tundra, inoltre, erbivori di larga stazza come i bisonti agevolano il mantenimento del permafrost impedendo il rilascio di gas serra da tempo sigillati nel suolo.
Negli oceani, le balene cacano letteralmente sulla crisi climatica. O meglio fertilizzano il fitoplankton, che cattura a sua volta miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno. Ma comunque i cetacei lo fanno con fin troppa arroganza. Anche i tapiri aiutano a piantumare alberi spargendo ovunque i semi della frutta di cui si nutrono, e nelle foreste pluviali gli animali dedicano loro applausi commossi, gli uccellini ne cantano le lodi e si legge sovente sulle pietre: “Viva viva il tapiro! La sua cacca non profuma di rose ma è vera primavera!” Una cosa che ci fa rivalutare perfino il ruolo sociale di Staffelli.
Nel deserto della Death Valley, tra California e Nevada, i puma tengono a bada le popolazioni di asini selvatici che altrimenti distruggerebbero le preziosissime quanto rare zone umide lì presenti. Ci sono in giro per il web le immagini di un puma che assalta alle spalle un asino, e poi troneggia sul suo cadavere. Una vera americanata.
Similmente i lupi di Yellowstone, reintrodotti nel ‘95 dopo che per settanta anni erano spariti a causa di una indiscriminata caccia da parte dell’uomo, tengono a bada i cervi, la cui presenza pressocché incontrastata - unita all’aria da “me sento stocazzo” che li contraddistingue - aveva visibilmente martoriato la vegetazione della zona.
Nelle città i corvi possono essere assunti per raccogliere cicche di sigarette, come succede a Södertälje, vicino a Stoccolma. Esiste addirittura una startup francese che sta addestrando loro e altri pennuti per rilasciarli in città come netturbini alati. Sapete come si addestra un corvo? Prima gli fai fumare le sigarette gratis, poi appena prende il vizio TAC! gli togli la tessera sanitaria.
La fauna ci aiuta addirittura a fare ricerca per l’ambiente! Nel mar dei Caraibi degli scienziati hanno scoperto la più grande foresta di fanerogame marine al mondo dopo avere montato una videocamera sulla pinna di uno squalo tigre. E poi c’è la NASA che ha sviluppato una tecnica per monitorare la copertura del manto nevoso globale, fondamentale per comprendere come gestire le risorse idriche all’avanzare del cambiamento climatico, studiando le formiche, notoriamente in fissa con gli sport invernali.
Insomma, è una vita che parliamo di proteggere gli animali, salvare gli orsi polari, dare 18 politici ai procioni agli esami. Ma forse abbiamo sempre guardato la questione con le lenti sbagliate. Invece di pensare a come proteggerli, dovremmo iniziare a chiedere loro aiuto. Hanno saputo fare funzionare l’ecosistema per milioni di anni, no? Una cosetta o due da insegnarci, ce l’avranno pure.
Restando in tema: vi consiglio , la newsletter di che ci ricorda che nulla fa più ridere di un meme con gli animali. Se non forse le bestemmie.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Il primo motore per aerei 100% a idrogeno (Wired). Finalmente una scusa per non farsi buttare la bottiglietta ai controlli di sicurezza.
Ue: stop all’importazione di prodotti che causano la deforestazione (Icona Clima). “Se c’è da deforestare,” dicono dalla Commissione “possiamo farlo direttamente a casa nostra.”
Addio pulcinella di mare: entro la fine del secolo potrebbe smettere di nidificare in Europa occidentale a causa dell'innalzamento delle temperature (The Guardian). Colpo durissimo alla commedia dell’arte.
Un mammifero estinto ha plasmato le foreste di alghe della California (The New York Times). Direttamente dall’aldilà?
“Non mangiate aragoste se volete salvare le balene”, ma i pescatori di aragoste si difendono: non sono le nostre reti a intrappolarle (The Washington Post). Però già che ci siamo, un’arpionata…
Dopo una settimana di trattative coordinate dall'Onu, sta prendendo forma un trattato globale sulla plastica (Materia Rinnovabile). È quella della Coca-cola.
Perché conoscere i tuoi vicini potrebbe salvarti dal prossimo disastro climatico (The Guardian). Soprattutto quel tale Peter Parker in fondo alla strada, sembra un ragazzo a posto.
L’Inghilterra approva l’apertura della sua prima miniera di carbone in 30 anni (Climate Home News). Si troverà in Cumbria, a Whitehaven, che in italiano significa “ipocrisia”.
Sudata fredda:
"Il Piano sul clima è urgente ma serve una task force per gestire ciò che non è prevedibile" (Repubblica). Ora il Ministero dell’Ambiente sta assumendo indovini.
🟨🟥Minuti di recupero
Torniamo un secondo sul calcio dopo l’approfondimento di settimana scorsa. Come potevano i mondiali in Qatar rendersi ancora più odiati da un punto di vista ambientale? Buttando giù un gatto dal tavolo durante la conferenza stampa. Non perché il gesto sia stato grave – un gatto preso dal colletto e buttato giù di peso è ordinaria amministrazione per chiunque abbia mai convissuto con un felino – ma perché povero patato cuccioloso ciccioso FIFA sei il male assoluto.
Insomma, il calcio in generale è proprio da buttare via? Chi ha Sky, potrà cercare la risposta in questo documentario dal titolo Football vs Climate Change di David Garrido (titolo originale Football’s Toughest Opponent, ossia “l’avversario più tosto del calcio” che evidentemente in italiano ci faceva schifo). Se lo guardate, fatemi sapere cosa ne pensate: vi ha cambiato la percezione su calcio e crisi climatica?
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Grazie e a presto!
Mattia
Altra puntatona, avremmo davvero bisogno di rinaturalizzare e creare corridoi ecologici (propongo di sottoporre politici e politiche al trattamento David Attenborough). Comunque con "Nicola, la lontra di mere" mi hai fatto spanciare dalle risate!