È un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
Ciao! Oggi è la 53^ Giornata della Terra 🌱 Mentre il governo italiano pensa a multe dai 10 ai 60 euro per chiunque posti le foto di un albero, noi la celebriamo cogliendo l’input del caro che mi invita a parlarvi di un brutto affare 🚽🚻🧻
Non vi nascondo che è seduto sul gabinetto che penso a come salvare l’umanità. Facendo la grossona finisco di analizzare articoli, strappando quadretti di carta igienica metto in ordine le storie che vorrei raccontare, fissando il vortice dello sciacquone lascio che la mia mente navighi tra figure retoriche con cui condire questa newsletter. Se sotto la doccia mi vengono le battute migliori, solo sul bidet trovo la freschezza mentale per portare avanti il mio lavoro. È per questo che uso sapone intimo al mentolo.
Mi rendo conto che usare la carta igienica prima del bidet sia uno spreco di risorse. Pensiamoci: perché prendiamo gli alberi, li tagliamo, li maciulliamo, li essicchiamo, li arrotoliamo e li imbustiamo, li portiamo a casa nostra, mostriamo loro la luce giusto in tempo per strusciarceli contro i genitali, e poi li buttiamo via prima di lavarci con acqua e sapone? È una perversione grottesca e ridondante, come ogni scena di sesso in 50 sfumature di grigio. Che va bene le fantasie fetish da casalinga di mezza età, ma piuttosto che doversi assorbire le nostre deiezioni, ogni albero preferirebbe una martellata sui marroni.
Se ne rendono conto perfino gli americani, che nelle ultime settimane, anche grazie allo spazio dedicato all’argomento dal Washington Post e da alcune delle migliori newsletter sulla crisi ecologica in circolazione, hanno iniziato a valutare questo strano rapporto che hanno con l’igiene post-bisognini. Negli USA si consumano più rotoli di carta igienica pro capite che in qualsiasi altro Paese del mondo. Una media che va dai 24 rotoli a testa ai 141, a seconda di quando scadeva il chili mangiato la sera prima. Per fornire tutta questa candida polpa assorbente, l’America fagocita milioni di alberi della biodiversa foresta boreale canadese. Secondo il gruppo ambientalista NRDC, infatti, un terzo di tutto il materiale usato per i prodotti di carta americani arriva proprio dalla deforestazione di centinaia di migliaia di km2 di questa natura incontaminata, uno dei più larghi ecosistemi intatti del pianeta, serbatoio di 306 miliardi di tonnellate di carbonio accumulati per secoli da pini, betulle e pioppi. Che quando vedono passeggiare sotto le loro fronde visitatori del Wisconsin, iniziano a smollare ceffoni manco fossero il Platano picchiatore.
Non stupisce allora che quella parte di Stati Uniti che oggi cerca un nuovo equilibrio con le risorse del pianeta, veda nella promozione dei bidet la soluzione a uno sporco problema. E non è per niente scontato in una terra che si è sempre stupita di quello strano cugino basso, tozzo e schizza-acqua che staziona a fianco della tazza del water negli AirBnB della “uonderful Firenzii” e negli alberghi della “bé-lla Ruo-ma”. Per farne capire loro l’importanza, c’è voluto il primo lockdown. Nel marzo 2020, uno dei beni primari andati subito a ruba dagli scaffali dei supermercati USA è stata proprio la carta igienica, fondamentale nell’eventualità di dover mummificare nonno. In mancanza di nuove scorte, si è assistito a un’esplosione di vendite online dei bidet add-on, ossia fontanelline spruzzanti installabili direttamente sotto la tavoletta del gabinetto. Il lavoro da remoto di quei mesi ha offerto un motivo ulteriore per fare questo salto tecnologico: in casa propria diventava possibile prendersi del tempo per rinfrescarsi le parti basse. A volte con qualche indugio di troppo. Chiedetelo a John Hill, contabile della Apple, che ha installato il suo primo bidet a metà marzo e fino a maggio inoltrato non ha più risposto a nessuno dei suoi colleghi su Skype.
La generale diffidenza degli americani verso questo oggetto è figlia di una faida storica e di una miscela di sessismo e puritanesimo. Il bidet è infatti un’invenzione del lusso seicentesco francese. Gli inglesi, da sempre sospettosi dell’oltremanica, lo vedevano come ennesima espressione della loro fastidiosissima vanità. Come accade in tutte le famiglie, la madrepatria ha trasmesso alle proprie colonie un corredo di pregiudizi. Figurati, usava il bidet perfino Maria Antonietta! Quella che diceva ai suoi sudditi di mangiare brioche in mancanza di pane, ma prima li invitava a lavarsi bene le mani.
Il bidet era associato a un’aurea di femminilità e promiscuità, essendo usato dalle prostitute europee prima e dopo i rapporti sessuali nelle case chiuse frequentate dai soldati americani durante le due Guerre Mondiali. Di conseguenza, l’uomo vero, rientrato negli States vittorioso, non poteva pensare di averne uno in casa. Cosa avrebbero pensato i vicini del veterano Miller, se nel suo bagno avessero visto gli stessi bidet dei bordelli? Già 20$ per un’ora d’amore erano decisamente fuori mercato.
Del resto, c’è sicuramente qualcosa di primordiale nell’idea di pulirsi con un pezzo di albero. Non a caso il primo grande gap evolutivo tra sapiens e Neanderthal è stato usare la parte del muschio invece che quella della corteccia. Ridiamo e scherziamo degli americani ma nel corso della storia l’umanità ha adoperato parecchie cose inusuali per darsi una pulita laggiù. Mani, foglie, neve, addirittura sassi, che noi oggi raccogliamo a forma di cuore mentre un tempo ce li si contendeva a forma di tappo. Abbiamo reperti di popolazioni che per pulirsi dopo la defecazione usavano conchiglie. Pare che prima ci ascoltassero dentro il rimbombo del mare per trovare ispirazione e stimolo. “Uelà, Isaia, oggi dev’esserci tempesta!” si dicevano incontrandosi nei bagni pubblici.
In una lettera a Lucilio, Seneca ci racconta che nel periodo greco-romano si usava il tersorium, una spugna fissata alla fine di un bastoncino per pulirsi l’ano come facciamo noi oggi con lo spazzolone del gabinetto. Le risate tra gladiatori quando succedeva quella cosa dello scopettino che si svita rimanendo incastrato sul fondo e poi devi recuperarlo con le mani, se le ricordano ancora i martiri! Il tersorium era poi di uso condiviso: una volta adoperato, si rimetteva in una bacinella con acqua, sale e aceto. Se le Caesar salads prendono il nome da una ricetta che Giulio Cesare amava proporre ai suoi commensali, inizio a capire le motivazioni del tradimento di Bruto.

Gli studi antropologici ci raccontano che gli antichi usavano per pulirsi anche pessoi e ostraca, pezzi di pietra e ceramica su cui incidevano i nomi dei nemici. E poi andavano in giro a lamentarsi di che barbari fossero i Goti e i Longobardi.
La carta igienica fa il suo ingresso nella Storia in Cina, che già aveva inventato la carta normale proprio per avere qualcosa da leggere in bagno. A inizio XIV secolo i cinesi producevano carta igienica in quantità importanti, si stimano milioni di pacchi da migliaia di fogli ciascuno. Immaginate perciò la delusione del contadino Han Xi, che quando finalmente andava a fare i suoi bisogni dopo una giornata nelle risaie la trovava sempre finita.
In Europa, la carta igienica sarebbe arrivata proprio dalla Cina due secoli più tardi, incontrando però un forte rifiuto. Commenti come quello dello scrittore e monaco François Rabelais l’hanno rimandata all’età moderna bollandola come un’invenzione inefficace. Nel suo libro satirico Gargantua e Pantagruele viene proposta come migliore strumento il collo di un’oca ancora viva.
“Benjamin, dov’è quel dannato pennuto, che devo andare in bagno?”
“Credo si sia appena suicidata con la baguette di settimana scorsa.”
È solo nel 1857 che troviamo la prima carta igienica moderna. A metterla sul mercato è Joseph Gayetty, che a New York presenta la sua Medicated Paper, for the Water-Closet. Nella forma di rotoloni ci è arrivata poi nel 1890 e solo nel 1930 entra in commercio la prima carta “senza schegge”, con una certa delusione dei venditori di pinzette. Dagli USA al mondo è stato poi una questione di consumismo e pop culture.
Capiamoci, dunque. Dopo secoli di metodi disparati, 300 anni fa è spuntato un francese che, in questa privilegiatissima parte di mondo, ha proposto di usare acqua e sapone. Che già ci andava bene per mani, faccia, capelli, corpo, pavimenti, piatti, vestiti, macchine, animali. Quanto si devono essere sentiti stupidi quelli a cui l’ha mostrato per primi? Eppure, 300 anni dopo, la maggior parte di noi ancora si pulisce il derrière con la carta. Ammettiamo che ha dell’assurdo.
Ma anche ad ammetterlo, c’è un motivo per cui credo che difficilmente vedremo un’immediata transizione. Il mercato della carta igienica negli Stati Uniti valeva 12 miliardi e mezzo di dollari nel 2022 (quello italiano 1,2) ed è dominato da giganti come Procter&Gamble e Unilever, che silenziosamente sono dietro a quasi tutti i brand di prodotti che affollano le nostre case e supermercati. Vested interests, ricordate? Le aziende produttrici di carta igienica difficilmente disinvestiranno da questo prodotto che tanti considerano indispensabile. Però potrebbero fare il salto a carta igienica riciclata, che non risolve tutti i problemi della carta igienica ma sarebbe almeno qualcosina. Nel 2021 gli azionisti di P&G avevano ricevuto una lettera firmata da più di 100 gruppi ambientalisti che chiedevano alla multinazionale di ridurre gli impatti sulle foreste boreali e tropicali interessate dai loro prodotti. P&G possiede più o meno il 25% del mercato della carta igienica del Nord America, il che significa che 1 americano su 4 deve chiederle se può andare al bagno. Alla lettera delle associazioni era seguita una promessa da parte della multinazionale di ridurre i propri impatti, ma nessuna prova di progressi reali. Curiosamente, però, nei bagni delle sedi di P&G ora se guardi la carta igienica in controluce intravedi dei piccoli loghini con i panda.
In dipartimento al Politecnico di Milano avevo un collega che si rifiutava di fare la cacca lì perché l’assenza del bidet lo avrebbe destabilizzato per il resto della giornata. Ho invece un cugino che sa inventarsi, grazie alla sua considerevole statura: “Quando sei alto, il mondo è il tuo bidet” ripete a chiunque lo trovi con le chiappe adagiate sul lavandino. Sono due approcci diversi al cacare: ridurre VS adattarsi, decrescita felice VS tecnomisticismo.
I giapponesi sono i maestri della seconda filosofia e negli anni 80 hanno robottizzato i gabinetti integrando il bidet direttamente nella tavoletta. A Tokyo perfino in metro puoi espletare e poi uscire pulito e asciutto come un dorayaki, grazie a una piccola bacchetta che allo schiacciare di un pulsante fa capolino sotto il sedere e spara una precisissima innaffiata sull’occhio del demonio. Nella versione Abracadabr-hey! la “bacchetta” appare e scompare con un’inclinazione di 90°. Quando poi tu ti alzi, il water si accende una sigaretta e ti dà una sculacciata sul sedere, soddisfatto. Le versioni più moderne e hi-tech di questi prodigi della seduta hanno oggi la temperatura dell’acqua regolabile, un getto d’aria per asciugarsi, la tazza auto-pulente, la lucetta notturna, il generatore di suoni per camuffare i propri, il deodorante ambientale e varie impostazioni personalizzate. Alcuni hanno anche il Face ID, l’ideale per chi ha la faccia come il culo. Quando introdurranno anche l’intelligenza artificiale, i bagni delle stazioni si riempiranno di strazianti piagnucolii di gabinetti che supplicano il Dio Server di farli rinascere stupidi come scaldabagni.
Tiriamo le fila prima di tirare lo sciacquone. A me piace immaginarvi che leggete questa newsletter sul gabinetto. È una cosa che sto cercando di risolvere con la terapia. Però ecco, ora davanti a voi avete una scelta: usare la carta igienica o farvi il bidet. Da un punto di vista ambientale, l’abbiamo capito, il bidet è meglio della carta. Soprattutto in uno scenario siccitoso quanto il nostro, visto che si stima che per una lavata col bidet si consumi molta meno acqua di quella necessaria a produrre la carta che usiamo ad ogni seduta. Da un punto di vista sanitario, il bidet riduce l’incidenza di infezioni. Da un punto di vista economico, costa meno darsi una piccola sciacquata piuttosto che andare a comprare mensilmente la carta. Da un punto di vista religioso, è l’unico modo per purificarsi dal Peccato che avete appena commesso. Allora lasciatemi prendere in prestito il motto della startup Tushy, che più di tutte ha conquistato i sederi americani durante il lockdown con i suoi bidet:
“Save Your Ass, Save Your Money, Save The Planet.”
E provate il sapone al mentolo, mi ringrazierete.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
La temperatura media globale degli oceani ha toccato un nuovo record: 21,1 gradi (Bbc). Il ricercatore dello studio ai suoi colleghi: “Ok che siamo in acqua, ma almeno potevate spostarvi un po’ più in là.”
Il conflitto fra noi e la fauna selvatica sta arrivando all’apice (La Svolta). Settimana prossima la gara di ritorno Orso vs Uomo per aggiudicarsi la semifinale.
Non riciclabili e inquinanti, le e-cigarette diventano un problema ambientale (Repubblica). E vogliamo parlare di quanto diavolo mi sta costando comprarne un pacchetto al giorno?
Il capitano del Monza Matteo Pessina: "Anche il calcio può salvare il clima. Tifosi, lottate con noi" (Repubblica). Ma dalla curva piovono pezzi di cassoeula e cori razzisti: “Polentone di merda!”
I crimini contro la natura sono tra i più redditizi al mondo (La Svolta). Durante il Fuorisalone di Milano, le borseggiatrici della metro prendono di mira gli alberi di Parco Sempione.
Ristoranti McDonald’s offrono sconti sugli hamburger e bevande gratuite alla polizia londinese che vigila sulle proteste di Extinction Rebellion (The Guardian). La catena di fast-food, responsabile di tante emissioni di gas serra quanto la Norvegia intera, assicura di non avere nulla contro gli attivisti climatici. E come sorpresa dello speciale Happy Meal riservato agli agenti inserisce proiettili di scorta.
Sudata fredda:
L’Europa continua a bruciare ma per la politica non è una priorità (Domani). Il commento del ministro dell’agricoltura Lollobrigida: “Una cosa per volta, regà. Appena risolviamo il nodo della sostituzione etnica penseremo a sostituire anche i condizionatori.”
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Mattia