Gelato gusto truffa
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
Ciao!👋 Questa settimana parliamo di numeri ingannevoli e gelati climatici🍦
Giugno è il mese in cui inizio a spendere soldi in gelati.
Prediligo il cono alla coppetta, e non mi vergogno ad ammettere che mi piace quando la gelateria ha quelle cialde super artificiali che non sono veramente biscottose, ma anzi sembrano fatte di un materiale strano, lucido e super plasticoso. Avete presente, no? Così plasticoso che quando le Nazioni Unite si sono incontrate per discutere del trattato globale sulla riduzione della plastica a Parigi settimana scorsa, io ho incrociato le dita sperando non me lo mettessero al bando. Per ora sembrerebbe che il mio guilty pleasure sia salvo: le rappresentanze coinvolte nei lavori dell’UNEP si sono bloccate a battagliare tra quelle che chiedono di ripensare totalmente a come facciamo le plastiche, materiali tanto utili quanto onninquinanti, e quelle che invece insistono che il modo per ridurre il problema sia semplicemente diventare bravi a riciclarle. Diverse evidenze ci dicono quanto questo sia falso, ma alle nazioni che producono petrolio - Paesi del Golfo, Russia, Cina, India e Brasile in testa - conviene insistere su questa argomentazione: è nella produzione di plastica, basata proprio sul loro oro nero, che trovano una linea di business da mantenere viva ad ogni costo. Tanto che India e Cina si sarebbero perfino iscritte a un corso per imparare a fare i frappé.
Il mio gusto di gelato preferito è il melone. Quando lo mangio, mi dico che praticamente sto ingerendo frutta, quindi mi conta come pasto sano. È una bugia anche questa, dolce e rinfrescante. Del resto, sul gelato noi italiani ne diciamo parecchie. Ogni volta che diciamo che si scioglie, per esempio, stiamo mentendo. Fonde, il gelato. Come i ghiacciai: fondono, non si sciolgono.
“Ok professore, ma guarda che ti è appena caduta una Marmolada arancione sui pantaloni.”
Noi italiani mentiamo sul gelato anche quando proviamo a convincere il mondo che dare soldi per l’apertura di gelaterie di lusso in Asia rientri nei nostri sforzi di finanza climatica. Perché sì, forse non l’avete sentita, ma l’abbiamo detta. Una recentissima indagine di Reuters, insieme al programma giornalistico Big Local News della Stanford University, ha rivelato che una parte dei famosi 100 miliardi di finanza climatica che i Paesi ricchi avevano promesso ai Paesi più vulnerabili per aiutarli a svilupparsi con mitigazione e adattamento al centro non sarebbe minimamente legata alla questione climatica.
Passo indietro: ve li ricordate, i “famosi 100 miliardi di dollari” di cui sto parlando? Era una somma simbolica che i Paesi ricchi avevano promesso a quelli più vulnerabili in una botta di responsabilità storica. Nel concreto si trattava di prestiti, sovvenzioni e investimenti da conferire ogni anno fino al 2020. Una somma promessa nel 2009 e mai davvero raggiunta. Nel 2020, su 100 si era riuscito a raccimolare soltanto un 83 tirato tirato, e in fondo gli insegnanti lo ripetono da sempre che il Nord Globale potrebbe fare di più ma non si applica.
Da sette in condotta invece è quello che emerge dall’inchiesta di Reuters e amici. Alcuni dei miliardi arrivati da Italia, Stati Uniti, Giappone e Belgio sarebbero legati a progetti che solo il campione del mondo di Unisci i Puntini saprebbe ricollegare a mitigazione e adattamento. Per esempio, gli USA hanno conteggiato come finanza climatica un prestito per l’espansione di un hotel della catena multinazionale Marriott sulle coste di Haiti. Il Belgio il finanziamento di un film romantico dal titolo La Tierra Roja, ambientato nella foresta pluviale argentina. Il Giappone (paradossalmente) un aeroporto in Egitto e una nuova centrale a carbone in Bangladesh. Noi, che siamo pur sempre i paladini del dolce vivere, una serie di nuove gelaterie Venchi in giro per l’Asia. Il campione del mondo di Unisci i Puntini a questo punto chiede un po’ di LSD, perché così a secco non si può lavorare.
Com’è possibile che questi soldi siano conteggiati come finanza climatica?
Il problema è che il sistema è progettato per concedere ai Paesi ricchi la stessa libertà di uno scozzese che non indossa le mutande sotto il kilt. I soldi non vengono raccolti centralmente dall’ONU ma passano direttamente alle istituzioni, ai progetti e alle organizzazioni che dovrebbero ricevere l’aiuto. Non sono state definite tipologie di progetti, né standard comuni per la loro rendicontazione, basta dire che si contribuisce a ridurre le emissioni o si aiutano le comunità locali a gestire gli effetti della crisi climatica e tutto passa. Non che sarebbe impossibile dare visibilità e trasparenza a tali progetti, sia chiaro: UK, Canada e Paesi Bassi lo fanno spontaneamente. Ma gli altri, tra cui noi, preferiscono essere più sbarazzini. Come se lo scozzese di prima si mettesse a ballare il can-can.
Più di 65 miliardi di dollari tra quelli scrutinati dall’indagine sono riportati in maniera talmente vaga che non è facile dire per cosa siano stati dati. Altri, come i casi già citati, rasentano il grottesco. Chiamati in causa, i loro fautori fanno spallucce:
Gli americani si giustificano dicendo che l’innalzamento dei mari minaccia seriamente Haiti, perciò alzare la piscina di qualche metro è il minimo. La priorità al momento è impedire ai ghiacci di fondersi, soprattutto quelli nei margaritas.
I belgi difendono il proprio investimento nel film perché parla di una storia d’amore tra un ex giocatore di rugby che lavora per un’azienda che distrugge la foresta amazzonica e un’attivista ambientale che organizza la resistenza. I due, dapprima nemici, si innamorano per vivere per sempre felici e contenti. Non è forse sensibilizzazione ambientale, questa? Nella scena di sesso, i due protagonisti hanno addirittura i capezzoli coperti da foglie di un albero piantumato per compensare le emissioni del set.
I giapponesi, più umili, riconoscono di aver capito male la consegna. Per telefono avevano inteso che bisognasse spendere soldi a favore del cambiamento climatico, perciò la scelta di investire in aviazione e combustibili fossili. “Colpa nostra,” hanno ammesso a Reuters, “vi chiediamo sushi!”
L’Italia, come al solito, fa la furba. Un portavoce del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha commentato l’indagine dicendo che il governo aveva “assolutamente considerato la questione climatica” nell’approvare l’investimento in dodici nuove gelaterie Venchi in Giappone, Cina, Indonesia e altri Paesi asiatici. “Senza un clima che funziona, per le gelaterie eccellenze italiane sarebbe un disastro.” Soprattutto per chi poi deve lavare il pavimento.
Reuters ha messo online un database aperto di quasi quarantaquattromila contributi finanziari dal 2015 al 2020, lo trovate qui. Spulciandolo scoprirete delle belle chicche sull’impegno italiano contro la crisi climatica. Non solo gelaterie Venchi, ma anche un programma di sterilizzazione di cani e gatti randagi in Kosovo promosso dal Ministero della Difesa e dal valore di ben 2313 dollari – che saranno bastati sì e no per castrare i rottweiler Belfagor e Lucifer della caserma dei militari italiani a Pristina, che da mesi sbavavano dietro alla barboncina dei vicini di casa. Altri soldi “climatici” sono stati destinati alla riconversione di un antico convento a Cuba, a una clinica di recupero per tossicodipendenti in Brasile e a un sacco di nuovi PC per la polizia afgana. Perché nessun uragano sarà mai devastante quanto Windows 95.
Non è un caso unico, questo della finanza climatica, e di conti sbarazzini se ne trovano a iosa. Uno studio pubblicato a maggio ha analizzato 184 aree marine protette, quelle zone in cui si cerca di preservare la biodiversità e la salute degli ecosistemi blù, e ha mostrato che circa il 27% di esse siano probabili “paper parks”, ossia aree protette solo on paper, sulla carta. È forse il problema dei numeri: ci fissiamo su obiettivi estremamente numerici, come “il 30% degli oceani mondiali da proteggere entro il 2030” ma non capiamo cosa ci sia veramente dietro quei valori. Avere il 100% degli obiettivi di sostenibilità completati non serve a nulla se non c’è niente di vero dietro, ve lo dice uno che ha passato gran parte della propria adolescenza a cercare di finire tutte le missioni secondarie di Assassin’s Creed II sulla PlayStation 3 mentre i suoi coetanei limonavano duro con le compagne di liceo. Scrive Ferdinando Cotugno: “Migliaia di aree marine protette che non lo sono affatto sono un disastro ecologico nascosto di cui non sapevamo nulla, uno dei precipizi accanto ai quali camminiamo senza nemmeno vederli.” Esattamente come facevano con me le compagne di liceo.
“Quanti ce ne sono ancora da scoprire, nascosti nelle pieghe della burocrazia ecologica?” si chiede Cotugno. “Non sarà anche ora di farci regalare un ferro da stiro che funziona?” aggiungo io.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Il fumo degli incendi in Canada soffoca le città statunitensi (LifeGate). Mentre i roghi estivi diventano sempre più intensi con l’aggravarsi della crisi climatica, per la politica americana è tempo di agire: iniziati i preparativi per bombardare Toronto, Ottawa e Montreal.
Adulto, ricco, urbanizzato: l’identikit del produttore di emissioni (Open). Non sembra quel tizio in TV che odia i migranti e gli attivisti climatici?
Pichetto Fratin: "Dobbiamo arrivare ad una produzione di energia per due terzi da rinnovabili" (Green and Blue). L’altro terzo? Vermut.
La compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi legge le mail dirette all’organizzazione di COP28 (The Guardian). Dopo il greenwashing su Wikipedia, ecco un nuovo scandalo legato al sultano Al Jaber, contemporaneamente presidente della prossima conferenza sul clima e CEO della compagnia petrolifera nazionale. Cos’altro scopriremo, da qui a novembre? Non so, ma quella lucetta rossa a fianco della cornetta della doccia mi risulta un tantino sospetta.
Federica Pellegrini adotta una tartaruga e la libera in mare (Ansa2030). Poi la rincorre, la supera e la costringe ad un’umiliante cerimonia di premiazione davanti a una platea di triglie, sgombri e delfini.
Il future dell’edilizia ecologica nel Sud della Francia: maniglie fatte col sale, carta da parati dai girasoli e tinte dall’urina riciclata (The Guardian). Ma quello è il gatto che non ha ancora imparato a usare la lettiera.
Crisi climatica: i giovani sono schierati in prima fila (La Svolta). Quando finalmente toccherà a loro sostituire gli altri sul palco, avranno un gran torcicollo.
Salvini propone l’obbligo di casco, assicurazione, targa e freccia per monopattini e biciclette (Greenkiesta). Finalmente ci saranno più infrazioni su cui multare i ciclisti investiti in città.
Artico, ghiaccio marino estivo: ormai è troppo tardi per salvarlo (Icona Clima). Tanto vale fare un altro giro di drink per tutti.
Sudata fredda:
L’incalcolabile impatto ambientale della distruzione della diga di Kakhovka in Ucraina (Greenkiesta). Parla il funzionario governativo che aveva ordinato di prosciugare un bacino idrico in India per recuperare il suo telefono da 1200 dollari: “Al mio collega ucraino deve essere caduto minimo minimo un iPad PRO.”
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Mattia