Gli Oscar all'Antropocene che non c'è
Ride verde chi ride ultimo - Se l’Antropocene non esiste ufficialmente, come mai ha dominato le nomination della 96esima edizione degli Academy Awards?
Se gli attivisti per il clima avessero modificato la Gioconda per farla sembrare il Joker, avremmo parlato di crisi climatica tutto il weekend? E avrebbero strappato l’Oscar per il miglior trucco a Poor Things?
Dovevano essere gli Academy Awards dell’Antropocene, ma qualche giorno fa abbiamo scoperto che l’Antropocene non esiste. Antroponcenè. L’hanno detto i geologi, che però al cinema non vanno mai. E quelle rare volte che li convinci a uscire dalla caverna, comunque fanno i noiosi e si lamentano di tutto:
“Questi sedili sono duri come granito”
“9 euro per un sacchettino di popcorn!? Ma non esiste!”
“Come l’Antropocene ohohoh”
La commissione che negli ultimi quindici anni si era occupata di valutare i come/dove/quando della fine della precedente epoca (adesso ancora attuale), ossia l’Olocene, e l’inizio della nuova, l’Antropocene appunto, ha votato contro questa idea. Dunque no, è ancora Olocene. Che con i suoi 11.700 anni dura quasi più di Oppenheimer e Killers of the Flower Moon messi in fila. La votazione non girava attorno a se noi umani abbiamo cambiato la Terra, questo non lo mette in dubbio nessuno tra chi studia i sassi - forse solo chi li mangia. La disputa ha riguardato invece come riorganizzare il calendario della storia del Pianeta. Fossimo stati ancora negli anni 90, sarebbe stata risolta mettendoci le classiche donne nude. Ma nell’ultima votazione, ben 12 membri della Subcommission on Quaternary Stratigraphy hanno votato per il no e solo 4 per il sì. Poi però il presidente e uno dei suoi vice hanno questionato la validità del voto e ora stanno capendo se ci siano stati errori procedurali, forse alcune modalità non sono state seguite come formalmente indicato, forse qualcuno ha scambiato le buste come agli Oscar del 2017 con La La Land.
L’Antropocene avrebbe avuto inizio, formalmente, nel 1952, l’anno in cui Un Americano a Parigi fu premiato come miglior film. Il suo golden spike, il segnalibro ufficiale per gli scienziati del futuro, sarebbe stato collocato nel Lago Crawford vicino a Toronto, in Canada. Per le sue caratteristiche, il lago presenta e potrebbe presentare per sempre tutte le prove inconfutabili dell’influenza umana sui processi terrestri: il plutonio dei test nucleari del secondo dopoguerra, le microplastiche, le polveri dalla combustione di petrolio e carbone e anche i pesticidi. L’Antropocene agli Oscar, pienamente: Oppenheimer e la bomba atomica, Barbie e il plasticume del consumismo, Killers of the Flower Moon e l’insaziabile disumanità dell’industria fossile. Povere creature! parla di pesticidi? Non l’ho ancora visto. Ma “povere creature!” è anche quello che esclamava amorevolmente mio nonno in campagna a me e mio cugino, prima di spararci in faccia del DDT per farci stare tranquilli. Quindi, a suo modo sì.
L’Antropocene non esiste, l’Antropocene ormai esiste. È un lemma diffuso, apprezzato, chiaro, anche un po’ distintivo - lo usiamo da anni per fare capire che sappiamo cosa abbiamo combinato al mondo. Sicuro c’è chi proverà a usare la questione del voto contrario degli scienziati dell’SQS per negare quegli impatti ecologici che vorremmo fissare negli strati del tempo. Sono le solite voci di fondo, lo sappiamo, e sarebbe stato bello potere mettere loro una pietra sopra, una lapide anzi. Rompe un po’ il quarzo, quindi, non potere certificare che abbiamo scavallato l’epoca e che viviamo nell’Antropocene. Soprattutto a chi si era appena fatto rifare i documenti.
Ma dove non vogliono ancora esporsi i geologi, per fortuna sono già arrivati tutti gli altri, dai giornalisti agli attivisti fino ai registi, che in qualche modo, quest’anno, ci hanno mostrato di volere raccontare la storia più complessa e conflittuale di sempre, una prospettiva alla volta. Quelle che ci faranno sentire, sempre più spesso nelle cerimonie dell’Academy degli anni a venire:
“And the Oscar for the worst acting role on planet Earth goes to… humankind!”
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Alla prossima settimana!
Mattia