Licenziarsi per non liquefarsi
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale
Ciao! 👋 Questa settimana parliamo di dimissioni climatiche 🧑💼
E se siete a Milano, tra oggi e domani c’è il National Geographic Fest con un programma super!
Ho detto al mio capo che mi licenziavo per l’evidente ignoranza da parte della dirigenza sulla questione climatica. “Ma se oggi neanche piove!” mi ha risposto.
Capisci di essere rientrato ufficialmente a lavoro quando al primo caffè coi colleghi stai già soppesando le dimissioni. Non tanto per la qualità delle conversazioni, quanto più per quella del caffè della macchinetta. Che non è la sola amarezza che possa condurti a certe decisioni: la crisi climatica è un’altra. E è pure finito lo zucchero, bisognerà chiamare il tecnico.
“Climate quitting” è un trend di questo decennio. Il rifiuto di lavorare per un’azienda che ha degli impatti negativi sull'ambiente, l’ecosistema, il clima; e la voglia, opposta e contraria, di portare i propri talenti e le proprie tazze divertenti sulla scrivania di realtà che invece fanno qualcosa di concreto per migliorare le cose. Se lo hai mai valutato o lo stai valutando proprio ora, sappi che non sei l’unic*. Metà degli impiegati GenZ del Regno Unito dicono di aver già lasciato un lavoro con il quale nutrivano un conflitto valoriale. L’ha fatto anche un leone a Ladispoli, questo lunedì. La motivazione dietro queste dimissioni è forte: il 48% dei lavoratori tra i 18 e i 41 anni afferma di essere disposto a guadagnare di meno pur di lavorare per compagnie di cui condivide i principi. Il leone ha detto che accetterebbe di passare da re della savana a semplice primo ministro della biodiversità.
Il climate quitting è un problemuccio-ino-etto per le aziende dei combustibili fossili, che fanno sempre più fatica a trovare giovani persone desiderose di lavorare per chi si sta divorando il loro futuro. Lo stesso problema denunciato da anni dalla strega di Hänsel e Gretel. Nonostante questi grandi gruppi offrano stipendi da favola, sfide intellettuali, prospettive di carriera interne, scrivanie e poltrone in marzapane. Ormai Eni e socie sono costrette a sotterfugi loschi pur di farti candidare alle loro posizioni lavorative. Il mio vicino di casa lavora per Eni, gli ho chiesto cosa lo avesse convinto, mi ha farfugliato un potpourri di benefit aziendali, promesse di progetti low carbon e una hostess con scollatura vertiginosa al Careed Day della sua università. "Non so com’è successo, mi ha offerto le caramelle che aveva lì sullo stand e il giorno dopo mi sono risvegliato ad una scrivania con un contratto firmato e un rene extra.”
Tanti giovani (e non solo) si dicono estremamente preoccupati dalla crisi climatica e convinti che ci sia bisogno di cambiare le cose. Vedono governi dopo governi tradire le aspettative, ignorare la scienza, fare passi indietro o troppo lenti sugli impegni, chiudere occhi e orecchie e bocche, ma quelle di chi protesta. E come loro le aziende, soprattutto le più grandi, quelle con più possibilità di manovra. Allora come potrebbero mai volere diventare parte del problema? È come se io facessi partire una campagna di crowdfunding per una nuova serie TV con Jerry Calà, Ezio Greggio e Martufello. In un’intervista, un climate quitter ha detto: “Non voglio davvero avere sulla mia coscienza il fatto di rendere il mondo peggiore, di usare i miei talenti e le mie abilità acquisite in anni di studi per portarci sull’orlo della catastrofe.” È così comprensibile, no? Infatti, ora che ha cambiato lavoro, si sente molto più in pace con se stesso.
“Cosa fai ora?”
“Terrorista.”
Nessuno dice sia facile lasciare il proprio lavoro, soprattutto dopo tutti i bei ricordi insieme, le ferie pagate, i panettoni regalati dall’azienda a Natale, i colleghi nella buona e la cattiva sorte, in salute e nei giorni di malattia. Non è facile ammettere ai propri cari, alla famiglia, che così non si riesce a vivere. “Eh ma di questi tempi il lavoro è lavoro...” dicono le zie. “Ti licenzi, e poi?” promuovono l’immanenza. “Non vuoi mica fare come quella ragazza che si è messa a piangere su TikTok perché il lavoro non le consente di avere una vita? Sta viziata! Ai miei tempi nessuno aveva la vita, solo la figlia del medico del paese e infatti Sanremo andavamo a guardarlo da lei.”
Poi oh, c’è chi zia l’ascolta. Alcuni impiegati delle industrie del fossile trovano modi di vivere con la propria dissonanza. Come in quella serie di Apple TV+, Severance, in cui gli impiegati non hanno memoria di cosa fanno fuori dall’ufficio, e quando escono dal lavoro non hanno memoria di cosa hanno fatto tra le 9 e le 17. Uguale per chi cerca compromessi. “Scusa ma tu come fai a preoccuparti per la situazione climatica e comunque fare marketing per Shell?”
“Ho fatto l’abbonamento solo a Netflix.”
C’è chi si fa convincere dalla stabilità economica, si fa lusingare dalle promesse di queste aziende. Mi immagino l’HR di ExxonMobil che gira per gli uffici cercando di captare segni di cedimento morale e intervenire con promesse di aumenti: un +20% sulla RAL, ma entro il 2050. In offsetting, ovviamente, che significa che invece che aggiungere soldi a te li tolgono al tuo vicino di scrivania. Oppure ti offrono una mano per l’ecoansia con una tredicesima cicciona, così finalmente questo Natale potrai regalare al tuo psicologo quella vacanza che si merita tanto. Oppure nuove posizioni in fantomatici team Sustainability, magari come manager, sì, un bel CSR manager, ti va? Benissimo, allora ecco, vammi a fare delle fotocopie caro, fammi il favore. E in bianco e nero, eh! Non sia mai che i tuoi amici poi mi accusino di greenwashing ohohoh
Forse queste persone, combattute, spaccate internamente, avrebbero solo bisogno di un aiuto. Tipo che ogni mattina un impiegato dell’industria fossile si sveglia e comincia a guidare. Sa che si metterà in auto e spererà di trovarsi bloccata la strada dagli attivisti. E tra sciure incazzate e camionisti che bestemmiano che la gente non riesce ad andare a lavoro, loro, tra lacrime liberatorie, strombazzeranno un grazie di puro cuore.
Chiaro, esistono tanti che il problema non se lo pongono nemmeno, manco lo capiscono. E se vengono fatti presidenti dell’ARPA, poi hanno bisogno che i colleghi li dimettano.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Aiutato da suoli sempre più aridi a causa della crisi climatica, un fungo mangia carne si sta diffondendo nell’Ovest degli Stati Uniti (Washington Post). La prova definitiva che i vegani ci salveranno.
Approvato il disegno di legge che vieta la produzione e la commercializzazione del cibo sintetico in Italia (LifeGate). Vietate anche le denominazioni come “carne vegetale” per proteggere i contadini italiani. Lollobrigida: “Multeremo anche gli uomini che sembrano donne, per tutelare i contadini che non vedono bene.”
Quotidiani italiani: il 18% degli articoli è negazionista (La Svolta). Nessuno di questi parla di sport.
Sempre meno cigni selvatici ritornano nel Regno Unito per l’inverno (BBC | in ita su Ohga). Prosegue la moda dei voli di gruppo in Indonesia per le vacanze natalizie.
Emergenza clima, la salute delle persone è in balia dei combustibili fossili (IconaClima). “CO2” “Salute!”
Biden-Xi si stringono la mano sul clima (Repubblica). Potrebbe essere l’inizio di una nuova sinergia sulle rinnovabili e la riduzione delle emissioni di gas climalteranti? Presto per dirlo, ma Biden indossava il perizoma delle grandi alleanze.
Sudata fredda
I Paesi si incontrano a Nairobi per definire un accordo globale sull'inquinamento da plastica (Green&Blue). Segnali positivi: si sono portati tutti la borraccia.
La Terra sta diventando sempre più salata (La Svolta). È ora di dire pasta.
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Mattia