Macchine della morte
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
👋 Ciao! Ciao questa settimana parliamo di macchine, e di quello che ci tolgono🚘
Juan Carrito, l’orso simbolo dell’Abruzzo, è morto.
Non fidatevi di quello che diranno. Che era un orso complicato. Che quella sera in osteria aveva esagerato con la genziana. Che per colpa della sua celebre curiosità aveva messo il muso negli affari dei Camosci, potente famiglia criminale degli Appennini. Che se la faceva con cani e umani. Che comunque non era un santo, perché più volte lo avevano beccato a rubare il miele dei vicini. Non credete alla macchina del fango. Perché la vera colpevole di questa storia è proprio una macchina, ma nel senso di automobile.
Sì, perché Juan Carrito è stato investito da un’auto mentre attraversava un tratto di strada in cui, teoricamente, si va a 50 all’ora. E questo ci catapulta direttamente a Milano, la città dell’aperitivo, della Madunina, degli affitti da pesce d’aprile però il 31 di ogni mese. Una città dove Juan Carrito avrebbe fatto la stessa brutta fine che su quella strada abruzzese, ma molto prima. E probabilmente vestito meglio.
Milano ama le macchine, oh yes, le ama più dei gin tonic e dei poke, le ama così tanto che le cosparge ovunque, sui marciapiedi, sulle rotonde, perfino nel panettone al posto dei canditi e dell’uvétta (la e è aperta per meneghinizzazione). E se il Consiglio comunale se ne esce, come ha fatto, con la proposta di rendere Milano “Città 30” a partire dal 1° gennaio 2024, ossia un comune in cui il limite di velocità in quasi tutto l’ambito urbano scende a 30 chilometri orari, è lecito aspettarsi opposizioni. Tipo che “noi preferiamo il pandoro.”
Matteo Salvini, nome che abbinato al ruolo di Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sta peggio di una camicia blu su pantaloni della tuta rossi, ha commentato la proposta milanese con un tweet in cui scriveva: “Ricordo al sindaco e al PD che a Milano la gente vorrebbe anche lavorare…” Ma è un ricordo sfuocato il suo, e a guardarlo da vicino è probabilmente di qualcun altro.
Che il Capitano abbia una posizione antitetica a tutto ciò che è sicurezza stradale e benessere dei cittadini non è una novità. Ma solleva una questione che vale la pena analizzare: è vero che un limite di velocità più stringente degli attuali cinquanta consentiti – risate del pubblico milanese – comprometterebbe la possibilità di chi vive in città di andare a lavorare?
Guardiamo i dati – risate dal pubblico della Lega – e scopriamo che Milano è attualmente una città che tra ingorghi e code viaggia a 15,4 km/h. Medi, ovviamente, come le dita alzate dagli automobilisti ogni volta che quello davanti frena di botto. Cosa che succede spesso: più vai veloce in città, più improvvisamente frenerai e più code si formeranno. Quando si va a basse velocità, invece, la marcia risulta più fluida, e questo consente, in momenti chiave come durante le ore di punta, di diminuire perfino i tempi di percorrenza.
A Salvini bisogna ricordare un altro dettaglio: a lavoro, tendenzialmente, ci arrivano i vivi. Andare veloce è il modo migliore per non esserlo più, dentro e fuori dall’auto. Se si viene colpiti da un veicolo che va a 50km/h, per esempio, il rischio di morire è esponenzialmente maggiore rispetto a quando si viene presi da una macchina che procede a 30 km/h. Se si viaggia più veloci, si ha meno spazio per fermare la macchina, meno tempo per processare la presenza di ostacoli, meno possibilità di beccare per radio la canzone giusta con cui sottolineare la tragicità del momento. Aumentano anche le informazioni da elaborare e si restringe il tempo di reazione utile. E tutti sappiamo quanto sia difficile trovare il giusto sticker con cui rispondere ai messaggi su WhatsApp, alle volte.
Secondo questo studio poi, non solo maggiori velocità urbane aumentano morti e incidenti stradali, ma anche inquinamento, costi infrastrutturali, impatti climatici, consumi energetici e la tendenza a non fare attività fisica oltre al solo sforzo - immane - di infilarsi la cintura di sicurezza. Il limite dei trenta serve proprio a risolvere tutte queste cose. Certo, toglierebbe il piacere quotidiano di vedere arrivare i nostri colleghi Amalia e Fabio sempre più in sovrappeso, malaticci, con quel bel ranteghino da grandi fumatori, poveri in canna perché la sera prima hanno fatto il secondo pieno del mese. E, di tanto in tanto, perfino in ritardo.
“Traffico?”
“Sì, un SUV ha messo sotto un orso in bicicletta.”
Milano non sarebbe nemmeno l’unica, tra le Città 30. Bologna, Parma, Roma, Lecce, tutte città che stanno puntando al 30, per quanto anche un 28 non lo rifiuterebbero. Olbia è l’unico centro urbano italiano dove questo limite è già in vigore, e il sindaco racconta di meno incidenti, di tanti cartelli installati e di tolleranza zero sui trasgressori da parte dei cittadini, che però hanno unanimemente deciso di aumentare la somma massima consentita nella morra. Risultati incoraggianti arrivano anche da Oslo, Helsinki, Barcellona, Bruxelles, Edimburgo. La Spagna e l’Olanda, alcune città Australiane e Neo Zelandesi, la Corea. Persino a Paperopoli e Topolinia stanno valutando l’introduzione di questa norma, nonostante gli SGRUNT! e i SIGH! di alcuni abitanti.
Com’è che quando si parla dati alla mano, la mano non è quasi mai la destra? Lo chiederei a Geronimo La Russa, presidente dell’Automobile Club Milano, ossia la versione istituzionalizzata di trovarsi con gli amichetti e un righello per misurarsi vicendevolmente la leva del cambio. “La Milano che cresce ed è sempre più apprezzata sia in termini economici-produttivi, sia come attrattività turistico-imprenditoriale, sul tema della mobilità fa come i gamberi marciando in direzione opposta al progresso e arroccandosi in posizioni che anche con l’ambientalismo, quello vero, e la sicurezza stradale hanno poco a che fare” ha detto La Russa. Mentre l’ultima frase vale almeno due metri di naso di Pinocchio, tutta la sbrodolata su “la Milano che cresce” è la solita storia della Crescita! Crescita! Crescita! di chi, pur non potendo più negare la crisi climatica e ambientale, si convince che lo sviluppo economico a tutti i costi sia l’unica eventualità necessaria. E non mi stancherò mai di ripetere che a volere crescere senza fine si finisce per assomigliare ad un tumore, o alla meglio ai protagonisti di Vite al limite. Ma poi altro che la macchina, per spostarci ci servirebbe un camioncino.
Se torniamo a guardarci intorno scopriamo che nella spagnola Pontevedra la politica del limite a 30 all’ora, sommata ad una restrizione delle aree in cui le auto possono entrare, ha portato, oltre all’eliminazione totale delle morti da incidente e una riduzione del 70% delle emissioni di CO2, ad un aumento del 30% degli incassi delle attività commerciali della città. È strano? No. Se cammino davanti a un negozio, più facilmente ci entrerò a dare uno sguardo.
Ma ora che abbiamo parlato abbondantemente del dito, concentriamoci sulla Luna. Perché Città 30 è una crisalide: racchiude un’idea di città che potrebbe presto evolversi in una creaturina bellissima. Lo spiega bene in questo articolo Matteo Dondé, urbanista, che vede nel limite di velocità “un’iniziativa che punta a riequilibrare lo spazio pubblico, riducendo le aree della strada dedicate alle auto con l’inserimento di piste ciclabili e l’allargamento dei marciapiedi, in modo da creare spazi più vivibili per le persone.” Rallentare le auto è incentivare l’uso di tutto il resto, dai mezzi pubblici alle bici, dai monopattini ai piedi. E perché no, pure il caro e vecchio cavacecio. Il cavacecio è quando stai camminando per la strada e sei stanco, allora individui il passante più comodo che sta andando nella tua stessa direzione, gli salti in spalla urlando: “Al galoppo, Furia!” e legalmente questi è obbligato a portarti a destinazione. Ma chiedete a un giurista per sicurezza.
Claudio Magliulo di Clean Cities spiega che nelle “Città 30” si registra un boom di ciclisti grazie alla diffusione di un nuovo senso di sicurezza. Si sentono così sicuri che iniziano perfino a suonare alle macchine, intimandole a non stare una a fianco all’altra. Anche per Magliulo il limite dei trenta è solo un primo passo: servono le ZTL, ragionamenti sensati sui parcheggi, marciapiedi più larghi e carreggiate più strette, curve più brusche, corridoi pedonali, corridoi verdi per la fauna urbana.
Perché se il lupo perde il pelo ma non il vizio, l’automobilista ti prende in pieno se gli dai spazio. Lo sa benissimo chi già ora, limiti o meno, usa la bici per spostarsi quotidianamente in città veloci come Milano. E infatti martedì si è tenuto un nuovo cordolo di ciclisti che fanno da “pista ciclabile umana” per proteggerne altri, un gesto solidale bellissimo finché non ti guardi Us e allora è paura piena.
Ma non tutti ci trovano la stessa bellezza. Vi riporto quello che mi ha scritto un lettore che non pensa la bici sia il modo migliore per vivere le città:
“Caro Matteo,
secondo me questa cosa delle auto a 30km/h è l’ennesima caXXata. Non ho letto bene la notizia perché stavo guidando, ma secondo me è l’imposizione della lobby gay di sinistra che domina Milano. Quelli già a Porta Venezia ci hanno messo l’arcobaleno nella metro, che è una cosa da pazzi perché i VERI mezzi pubblici sono altro. Per fortuna io la metro non la uso mai…
Limitare la velocità non serve a nulla, solo a toglierci le cose che hanno reso grande questo nostro Paese: il piacere del motore, del gran premio di Formula 1, di Enzo Ferrari e di Elettra Lamborghini, della LIBERTÀ, del gusto della strada e degli arbre magique. E poi scusate ma le strade sono pensate per le auto. Perché le fanno in asfalto e non in moquette, se no?
No, noi automobilisti non ci stiamo. Infatti anche noi, qualche giorno fa, ci siamo organizzati per fare un cordolo proteggi-automobilisti. Ci siamo messi in fila con i nostri mezzi, e abbiamo creato un corridoio prioritario per altre macchine come le nostre. L’idea era perfetta, però ci sono stati alcuni problemi. La corsia non era larga a sufficienza e il primo camioncino della GLS che è passato si è fatto tutti gli specchietti. A un certo punto uno di noi si è ricordato dello sciopero dei benzinai e allora voleva andare di corsa a fare il pieno, ma a quello davanti era morta la batteria. Allora gli ha suonato il clacson, ma tutti hanno pensato che fosse il segnale, perciò l’intera colonna ha iniziato a suonare. I più permalosi sono scesi e hanno sputato su quelli dietro, pensando che ce l’avessero con loro. È scoppiato un grande litigio. Un tizio sulla cinquantina si è sentito male quando una signora novantenne ha preso il cric dal suo Range Rover e gli ha sfondato il parabrezza. Le portiere si aprivano e colpivano pali e motociclisti a destra e a manca, tergicristalli venivano improvvisati a lance rudimentali, gomme di scorta andavano a fuoco. Alla fine è intervenuta la Polizia e ci ha multati tutti.
Sarò sincero, poteva andare peggio. Ora ti saluto perché finché ho l’auto dal meccanico, devo spostarmi in bici e mi conviene stare attento. Qui basta un niente e mi mettono sotto.”
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
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Sudata fredda:
Un iceberg grande quanto Londra si è distaccato dall'Antartide (BBC). Icexit.
Antartide, lo scioglimento della calotta glaciale si può ancora fermare (Repubblica). Incominciamo col chiudere lo sportello.
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Mattia