Maledetta primavera in anticipo
Ride verde chi ride ultimo – La primavera è qui, ma da settimane. Cosa succede quando arriva troppo presto? Siamo pronti alle stagioni che non esistono più?
Non è ancora Pasqua e già hanno messo fuori le zanzare.
Quest’anno sono arrivate prima delle uova di cioccolato, che nonostante i prezzi del cacao siano schizzati alle stelle a causa di condizioni metereologiche estreme nei Paesi in cui viene prodotto, mi restano umili e viaggiano ancora con la corriera. Mobilità dolce.
Il primo zanzaricidio della stagione l’ho compiuto a inizio febbraio, in salotto. Da parecchi giorni ne trovo una o due anche sulla via per l’ufficio. Svolazzano a mezz’aria come luminarie di Natale. Eccola la vita in un pianeta a +1,5°C di temperature medie globali: Natali primaverili e Pasquette alluvionali, se la sfiga evolve in tragedia, il nuovo volto delle feste comandate. Con nonna che porta la teglia di patate al forno in gommone e i parenti da giù che vengono a fare visita, ma poi chiedono asilo in qualità di migranti climatici.
Le zanzare sono uno dei rischi climatici rispetto cui l’Europa si fa trovare impreparata, nonostante i messaggi decennali della comunità scientifica. “Avevo il telefono scarico!” Se se. A rivelarlo è la valutazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente: il nostro continente non sa ancora come adattarsi agli impatti del clima così come lo abbiamo cambiato. Su 36 rischi che riguardano gli ecosistemi, la produzione di cibo, la salute, le infrastrutture e l’economia, 21 hanno bisogno di interventi urgentissimi. Tra questi, la diffusione delle zanzare, che ora che da noi si trovano molto bene vengono a farci visita per più mesi all’anno portandoci in dono dengue, malaria, malattia del Nilo occidentale. Carino il pensiero, ma non era meglio una bella bottiglia di vino bianco?
Parte del problema è la primavera in anticipo, come sa chiunque si sia mai dovuto sorbire Laura Pausini per radio incolonnato nel traffico. Le temperature più calde fanno sbucare le foglie su molte piante prima del tempo. A gennaio nel parchetto sotto casa mi fiorivano le mimose, a febbraio i ciliegi. Se guardiamo i dati, in Giappone lo spettacolo dell’hanami, l’esperienza di guardare i ciliegi in fiore, cade sempre prima - ma non abbastanza per coincidere con le mie vacanze di Natale, mannaggia al ramen. C’è questa mappa che mostra con quanto anticipo gli alberi stiano mettendo su le foglie negli Stati Uniti: in alcune zone si tratta addirittura di 28 giorni. Fa strano. Anche se gli americani sono così, è come quando scritturano trentenni per interpretare i liceali nelle serie teen.
La primavera in anticipo non aiuta chi soffre di allergia, non aiuta l’umidità nei suoli, non aiuta gli ecosistemi. Il problema è che il loro funzionamento si basa su agende molto ben intrecciate. I fiori devono sbocciare quando ci sono gli impollinatori; gli uccelli devono arrivare quando ci sono i bruchi di cui nutrirsi. È così che si permette a fiori, frutta e verdura di crescere. È così che gli insetti infestanti restano sotto controllo. Ma ecco l’inghippo: alcuni di questi organismi attivano la modalità primavera usmando le temperature, che diventano più calde con sempre più anticipo; altri organismi però si basano sulla lunghezza delle giornate, e quella non cambia. Quindi le tabelle di marcia si sfasano, gli appuntamenti saltano, non si fa più niente. Come me in molti miei weekend, gli ecosistemi si riducono a un sopravvivere male sul divano di casa. Con su Spotify la Goggi che in loop si chiede ossessivamente che fretta c’era. “Chiedilo ai bruchi!” rispondono irati gli uccelli.
C’erano le mezze stagioni, non ci sono più, non ci sono più nemmeno quelle intere. Un destino da incubo per le comunità sciistiche. Secondo il report di Legambiente NeveDiversa, da quest’anno abbiamo 260 impianti chiusi per sempre, 177 in modo temporaneo, 241 quelli tenuti attaccati alla spina dei soldi dei contribuenti, anche quelli che non sciano, anche quelli che vanno giù solo a spazzaneve. I maestri di scii si emozionano davanti all’arrivo accelerato della primavera, ma le loro sono lacrime di tristezza, di rabbia per gli sciatori che se ne vanno, per un’industria morente.
“Stai piangendo mentre ascolti la Pausini?”
“No, è l’allergia.”
“E perché le tue lacrime sono gialle?”
“È bombardino.”
Eppure le capisco perfino io, quelle lacrime. Io cinico cuore di pietra che non sono altro (motivo per cui: A. mi sono rimasti pochi amici; B. ogni volta che entro in una stanza piena di geologi, mi guardano come fossi un listone di basalto e farfugliano allusioni a carotaggi nel mio strato sedimentario). Io che tra le pochissime cose che mi fanno veramente emozionare c’è l’accorgersi del cambiamento della stagione. Una cosa che annuso nell’aria, mi dà una scossa lungo la colonna vertebrale, mi strizza lo stomaco e strappa dalla gola un innocente wow, ogni singola volta. Ecco ciò che veramente faccio e farò fatica ad accettare, di tutta questa crisi climatica: che l’avidità di alcuni settori e di alcuna politica mi ha soffiato via l’emozione delle stagioni. Credo che se non avessi mai iniziato a scrivere Ride verde chi ride ultimo come valvola di sfogo, probabilmente sarei diventato un vendicatore mascherato, una sorta di supereroe. Mi sarei fatto chiamare Doc Primavera, e come armi avrei usato cannoni che sparano fiori laser e farfalle shuriken. Chissà chi o cosa sarebbe stato il mio arcinemico. Forse i negazionisti, forse i rigassificatori, forse i SUV, forse le lobby della carne. O forse, e più probabilmente, gli agenti dell’industria del fossile. Laura Pausini in primis.
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Alla prossima settimana!
Mattia