Partite da non perdere
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
👋 Ciao! Questa settimana parliamo di Mondiali FIFA ⚽
⚽Mondiali carbon neutral?🏟️
Che io ricordi, il calcio non ha mai fatto discutere di sé. Né per razzismo, né per violenza e inclinazione al crimine dei suoi tifosi, né per ingiustizie economiche, né per questioni di uguaglianza di genere. Mica è il curling, quello davvero il peggio del peggio.
Una dozzina d’anni fa la FIFA proclamava il Qatar sede dei Mondiali di calcio 2022. Un Paese così caldo da dovere spostare la competizione da luglio a fine novembre, così piccolo demograficamente che non si capisce se siano meno i tifosi autentici o i diritti umani. Mentre il mondo sollevava le sopracciglia per questa scelta, in Qatar tiravano su città intere, enormi stadi, infrastrutture e alloggi. Il tutto nel deserto, il tutto sulle vite di migliaia di schiavi moderni, come avrete già letto e sentito prima dell’inizio della competizione.
Questo mondiale non ci parla solo di diritti negati, ma anche di crisi climatica. Troviamo la crisi climatica nelle grandi costruzioni, che comprendono sette stadi nuovi nuovi che tra meno di un mese resteranno quali monumenti all’antropocene. Costruire significa mettere giù tonnellate e tonnellate di cemento e acciaio. Se ne parla poco, ma la produzione di cemento e acciaio è una di quelle sfide che fa grattare il mento e scuotere sconsolati la testa agli scienziati che studiano come ridurre le emissioni. Questo perché per ogni tonnellata di cemento si produce circa 1 tonnellata di CO2, che diventano 1,5-3 per ogni tonnellata di acciaio. Non è cattiveria, ma è così che funziona chimicamente il processo. Quando citi le emissioni, cemento e acciaio ti guardano con lo stesso imbarazzo di chi si è fatto la pipì a letto dopo anni che non succedeva. Cuccioli.
A discolpa del Qatar, uno dei nuovi stadi è smontabile. Ma mi chiedo: quanto deve essere grande l’armadio in cui lo riporranno? Inoltre, tutti questi stadi nel deserto sono aperti e climatizzati. Nel deserto, aperti e climatizzati. Lo ripeto? Nel deserto, aperti e climatizzati. Ogni posto allo stadio infatti ha sotto il sedile un bocchettone per l’aria, che i tifosi con più fantasia hanno accolto con vera gioia:
“Sayid, guarda: finalmente niente più fila per il bagno!”
Chi è stato allo stadio avrebbe addirittura riferito che fa freddo (nel deserto, aperti e climatizzati) e alcuni calciatori si stanno prendendo tosse e mal di gola tra una partita e l’altra. Per non parlare dei cagotti fulminanti. Per fortuna che c’è Sayid, che dagli spalti urla: “Libero, se volete io ho finito.”
Troviamo la crisi climatica nei centinaia di voli che ogni giorno portano dentro e fuori il Qatar i tifosi che alloggiano nei Paesi confinanti. La troviamo nelle decine di migliaia di litri d’acqua consumati quotidianamente per tenere verdi i campi da calcio, acqua che recenti studi hanno stabilito scarseggiare nel deserto (Madai, Nonlosapevo et al., 2022) e dunque la si prende da un processo di desalinizzazione di quella di mare, una tecnica che ciuccia energia e disturba l’ecosistema marino come circa due Jova Beach Party e mezzo.
La troviamo, la crisi climatica, nel totale delle emissioni prodotte da tutto questo baraccone. Gli organizzatori stimano che 3,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente verranno emesse per il Mondiale. 3 milioni e 6 sono tanti, tantissimi per un singolo evento. Eppure, secondo l’analisi della non-profit Carbon Market Watch sarebbero molte di più. Come mai? I calcoli degli organizzatori sono stati a dir poco pazzerielli. Per esempio, le emissioni relative agli stadi sono state spalmate su una previsione di 60 improbabili anni di attività. Improbabili non solo perché, con tutto il rispetto per l’emiro, chi vuoi che se lo incula il calcio qatariota? Ma soprattutto perché nel calcolo dell’impronta dell’evento sono state attribuite solo quelle per i primi 70 giorni di vita. Il resto mancia.
Altro conto pazzeriello: sono state calcolate le emissioni solo dei voli d’andata dei visitatori. Quindi o i conti non tornano, o non lo faranno i tifosi.
Carbon Market Watch stima che le vere emissioni ammonteranno a 5,2 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, mentre secondo l’analisi del professore Mike Berners-Lee del Lancaster Environment Center si potrebbe anche arrivare a 10.
Cos’è il calcolo esatto della carbon footprint
se non un apostrofo rosa tra le parole “carbon neutral”?
Che poi nessuno starebbe qui a fare i conti se la FIFA non avesse voluto flexare sul fatto che sarebbe stato un mondiale carbon neutral, cioè a zero emissioni nette, il primo della storia. Ma è come se io mi vantassi di essere il più grande chef al mondo dopo aver proposto una carbonara con l’uovo frittato e al posto del guanciale una pancetta a dadini delle vaschette del discount. Ovvio che mi trovo i romani sotto casa.
E poi diciamolo, ci stiamo impratichendo a sgamare i piani net-zero fatti male, quelli che invece di ridurre le emissioni promettono di compensare la qualunque:
“Abbiamo 3,6 milioni di tonnellate di CO2 emesse—”
“Veramente sarebbero dalle 5 alle 10.”
“Va be’. Noi compriamo crediti di carbonio e siamo a posto, no?”
No. Riempire i propri piani di neutralità climatica con crediti di carbonio, come fossero pastorelli nel basso Lazio, è la vecchia idea del finanziare lontani progetti nella speranza che qualcheduno qualchedove eviterà di generare un certo quantitativo di CO2. Io emetto tot e pago un contadino dei tropici perché non emetta lo stesso quantitativo, così andiamo a pari. Una scommessa facilissima da perdere - perché tu emetti ora mentre la non emissione avverrà chissà quando - e per la quale è anche facilissimo imbrogliare. Quali progetti? Dove? Chi li monitora? E come mai in paese nessuno vuole più giocare a tressette con il tuo contadino?
“Eh, ma quante domande! Non lo volete qualche milioncino di dollari per chiudere un occhio?”
Questo mondiale parla di crisi climatica perché non solo ci prende per il naso con la storia della neutralità, ma anche perché gli oltre 300 miliardi di dollari utilizzati per rimpacchettare il Qatar come casa del calcio mondiale derivano proprio da esportazioni che aggravano la crisi climatica: petrolio e derivati, polimeri dal gas naturale, fertilizzanti azotati. Verrebbe voglia di imparare come si dice stronzi in arabo e fare una telefonata al regime qatarino. Ma forse sarebbe giusto comporre prima il numero della FIFA, che ha le sue colpe e non sembra vergognarsene. Quando ha detto sì ad un Paese autoritario che basa la sua ricchezza sui danni ambientali, la sua forza lavoro su una forma moderna di schiavitù, i suoi diritti di genere sul diario dei sogni di Lorenzo Fontana, a cosa stava pensando? Alle urla fastidiose di Lele Adani? Al fatto che un pallone possa essere contemporaneamente dentro e fuori dal campo come fosse di Schrödinger? A un fallo non dato? Sicuramente c’è stata corruzione, ci segnalano dalla sala VAR del Parlamento Europeo.
A me pare sempre più che l’industria del fossile si stia comprando il calcio come ennesimo tentativo di annacquare l’opinione pubblica in fatto di responsabilità climatiche. E la FIFA è ben felice di venderglielo. Tra i candidati ad ospitare il mondiale 2030 c’è l’Arabia Saudita. Chissà che il Qatar non sia giusto un banco di prova per vedere quante cose il mondo è disposto a ingoiare pur di non rinunciare a cantare Pooo-po-po-po-po-pooo-pooo!
Tiriamoci su con i miei amici giapponesi, che dopo la partita ripuliscono lo stadio. Un gesto che ci ricorda che a loro la cura degli spazi comuni viene insegnata fin dalle scuole elementari. Un modello interessante che fa fremere di desiderio il nostro Ministro Valditara. I giapponesi lo sanno bene: senso civico e umiliazione sono rette che prima o poi si incontrano. Proprio lì dove era seduto Sayid.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Sergio Costa: "Il Piano di adattamento climatico? Impossibile farlo in un mese" (Repubblica). Aspettiamo l’appello di luglio e intanto diamo Analisi I.
Sostanze tossiche oltre il limite nei vestiti acquistati su Shein (TPI). La conferma dalle analisi: le mutande erano usate.
Extinction Rebellion, azione di resistenza civile davanti alla Rai di Milano (IconaClima). “Iniziate a parlare di crisi climatica” chiedono gli attivisti. “O almeno smettete di fare Ballando con le stelle.”
Greenwashing, ci vuole un corso universitario per smascherarlo (LifeGate). Non si potrà più dire “Non serve mica la laurea!” quando i tuoi parenti fanno acquisti insostenibili.
Wendy Schmidt, la filantropa che ha donato 100mila dollari alla ricerca per gli Oceani (Repubblica). Ora la ricerca non sa cosa regalarle a Natale per sdebitarsi.
Dopo quasi 40 anni torna ad eruttare il più grande vulcano del mondo (Geopop). Ma non ha ancora imparato a mettere la mano davanti.
I bitcoin stanno cancellando il suono delle cascate del Niagara (LifeGate). Da plin plin a ding ding.
Sudata fredda:
In Europa l'aria è irrespirabile e l'Italia è tra i paesi peggiori (Repubblica). Dai raga, ci restano sole e mare.
🚴♂️Bici&WhatsApp
Per meno di una ventina di mesi abbiamo avuto in Italia un Ministero della mobilità sostenibile. Tempo una settimana dall’insediamento del nuovo ministro Matteo Salvini e la sostenibilità se la sono rubata: cambio di nome e si è tornati a Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT). Da quelle parti “mobilità sostenibile” fa talmente ribrezzo che se parcheggi la bici davanti al MIT senza lucchetto, la ritrovi anche dopo due settimane. Qualche curioso magari scatta una foto chiedendosi cosa sia, e poi entra in ufficio a tagliare i fondi alle piste ciclabili.
Nelle scorse settimane ho avuto occasione di intervistare per La Svolta Tullio Ferrante, sottosegretario del MIT, noto alla politica per essere stato compagno di classe della berlusconissima Fascina, con la quale condivide ancora il gruppo delle rimpatriate del liceo su WhatsApp. Proprio su WhatsApp ho rincorso per giorni l’Onorevole perché si ricordasse di mandarmi le sue risposte. Che una volta arrivate hanno confermato le mie peggiori aspettative sui piani del suo dicastero. Gli ho chiesto perché niente più “mobilità sostenibile”, mi ha risposto che costava troppo cambiare il nome sui siti. Gli ho chiesto dei piani per la decarbonizzazione, mi ha risposto che vogliono agevolare le imprese (leggi: il trasporto di merci su strada). Gli ho chiesto delle ferrovie, mi ha risposto ponte sullo stretto.
Su WhatsApp, poco sotto la chat con Ferrante, ho il gruppo “Amici in bici” di Monza. Mi ci ha messo per caso un tal Luciano, personaggio onnipresente nell’associazionismo monzese. Ogni tanto lo apro e trovo messaggi da boomer, accuse incacchiate dei cittadini seguite da risposte permalose dagli assessori (presenti nel gruppo, ottima cosa), foto di una certa signora Renata che è andata in bici sull’Himalaya, foto dei prototipi di luci fighe da attaccare alla bici di un giovane maker. E poi il bollettino di guerra: macchine parcheggiate sulle piste, macchine che guidano troppo forte, macchine che percorrono strade dove non dovrebbero, incuria, incidenti e morti. Per ogni morte che arriva ai media, chissà quante restano nei gruppi WhatsApp. L’Italia è maglia nera d’Europa per le piste ciclabili. O forse camicia? Di certo non è un paese per bici, ci dicono i rapporti. E infatti le sue strade uccidono. Salvini, la figura istituzionale che dovrebbe renderle migliori, ci tiene a far sapere però che sono le piste ciclabili ad essere pericolose. Basta un niente, infatti, e tirano fuori le lame.
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
Se ti ha fatto ridere e vuoi aiutarmi ad andare avanti, condividi questa newsletter con amici e parenti, con gli sconosciuti sugli autobus, negli spogliatoi in palestra.
O anche su Instagram: screenshotta il tuo passaggio preferito di questa newsletter (o delle precedenti) e condividilo nelle Stories taggandomi, potrò così riconoscerti, ringraziarti e ricondividerti - che sono poi le 3R dell’economia circolare.
Grazie e a presto!
Mattia
Veramente bello