Stare scomodi
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale
Ciao! 👋 Questa settimana scopriamo che la crisi climatica è sotto sotto come un selllino di una bici o la panca di una chiesa.
Si sta come
su X,
i tweet
dei climatologi
Avrebbe scritto Ungaretti oggi, considerando la deriva che l’ormai ex piattaforma Twitter sta avendo nell’era Musk. Un’era di terrore, insulti, bot, negazionisti patentati (verificati, anzi) che hanno reso la piazza pubblica preferita degli americani, e quindi delle conversazioni internazionali, un posto estremamente scomodo per attivisti, giornalisti e scienziati che parlano di clima e correlati. X è diventato per questi un pessimo palco, con tassi di engagement sottoterra e zero possibilità di entrare nei trend. A differenza di quanto succede coi contenuti dei negazionisti, che oggi spopolano come toscani che farciscono focacce su TikTok o, peggio, ragazzine che fanno balletti provocanti.
Fregnette
ballano,
tramonto
della società
compose il poeta, che però poi un like lo ha messo. Ricerche parlano di un vero esodo delle voci della crisi climatica dalla piattaforma dell’uccellino, ed è un tema: come possiamo vincere la battaglia culturale sulla necessità di transitare a sistemi eco-eco, cioè ecologico-economici, se gli unici punti di vista che rimbalzano in rete sono quelli di chi non ha capito che a mentire sul clima si resta scottati tutti quanti? Ungaretti disse che “la poesia è poesia quando porta in sé un segreto”, e il segreto è che in un clima che cambia ci sono posti, situazioni, scenari scomodi per chi fa parte della difesa dell’umanità e altri, apparentemente comodi, per chi difende i propri interessi economici.
OnlyFans
Moribonde dolcezze
Ti tolgo lo smartphone, Beppe.
Prendete l’Italia. In queste settimane si sta rivelando un posto comodissimo per alcuni animali, estremamente scomodo per altri. Il granchio blu, da brava specie aliena invasiva, se la viaggia: ne parlano tutti, tutti lo cercano, prende il posto dei predatori dell’Adriatico e non ha bisogno di dire nemmeno mezza parola. Praticamente è Khaby Lame. Dicono il granchio blu sostituirà Morgan come giudice ad X Factor, anche perché il granchio non rischia di uscirsene con insulti omofobi. Al massimo pizzica Fedez sul culo, ma solo se si avvicina troppo. E comunque, rispetto a Morgan, alla produzione costerà molto meno in cocaina.
Scomodi stanno invece gli orsi, anche quelli che alieni o invasivi non sono, quelli che anzi sono simboli nazionali, che sono amati, che sono donne, mamme e cristiane. Cristiane orsodosse. Quanto successo all’orsa Amarena ha una forte ripercussione culturale, cambia l’idea che c’eravamo fatti della sacralità dell’orso marsicano e del Parco Nazionale d’Abruzzo. Cambia perfino i cartoni animati: nella nuova versione italiana, saranno Yoghi e Bubu a chiamare il ranger.
Ci sono stati gli Stati Generali dell’Azione per il Clima lo scorso weekend. Un inedito raduno di diverse realtà dell’ambientalismo italiano che stanno sperimentando con la costruzione di un fronte comune coeso, capace di tenere alta la pressione sociale su politica e informazione e di trovare agilmente sostituti quando qualcuno bidona all’ultimo il calcetto del giovedì. Visibilissime le assenze di alcune realtà che in Italia hanno un certo peso: Legambiente e Greenpeace, che avevano la laurea di un’amica in comune; il WWF che non sapeva a chi lasciare i cani; e Ultima Generazione. Pare che quest’ultima fosse in disaccordo sul colore degli evidenziatori che sarebbero stati usati. Il pacco tirato dai nomi ingombranti riduce forse il respiro dell’iniziativa lanciata dal collettivo Ci sarà un bel clima, ma le settanta persone radunate per tre giorni di dialoghi nella cornice del Campo Base Festival hanno indicato comunque la strada verso una stagione di azione collettiva. Nessuno si è lamentato delle defezioni, perciò, anche perché solo un partecipante si era ricordato di portare la tenda e l’ha dovuta condividere con tutti.
Si sta scomodi, dicevamo. Chiedetelo ai quasi 70 mila partecipanti del Burning Man, uno dei festival più famosi al mondo, una bolgia di musica, balli, celebrities e guru della Silicon Valley, pseudo-ideali di comunità, esperienze new-new-age e prezzi pazzi nel deserto Black Rock del Nevada. Che quest’anno, a causa di violente piogge, si è concluso improvvisamente in un fango abissale. Immaginate 70 mila persone in piena estasi festaiola che si ritrovano impantanate nella terra nello spazio di un beat, loro e i loro veicoli, a razionare provviste e acqua per alcuni giorni. C’è chi lo chiamerebbe inferno. E c’è chi già lo chiamava così da anni, poiché per i più morigerati il Burning Man ha tutto il profilo del luogo di perdizione. Avevano ragione loro? Sarà stata una punizione divina, una sorta di diluvio universale bis, quella pioggia e quel fango? "Cazzate” ha smentito Dio in un post sui social, mentre con lo Spirito Santo tentava di liberare le ruote del camper dalla melma.
Ma c’è chi lo chiama karma. Prima che iniziasse l’edizione di quest’anno, un manipolo di attivisti climatici aveva tentato di bloccare il tutto. Avevano occupato la strada di accesso per impedire l’arrivo delle colonne infinite di veicoli e la solita costruzione scellerata di una città temporanea nel deserto, con i suoi notevoli conti ambientali - roba che il Jova Beach Party in confronto è un pic-nic con Heidi e Peter. Erano però intervenuti i ranger della comunità tribale che dovrebbe proteggere l’area: inneggiando il canto di guerra Chi fermerà la musica, gli agenti hanno sfondato il cordolo di attivisti (non senza violenza) e fatto ripartire la carovana dei Burners. “Il meteo ha vendicato il clima” avranno pensato gli attivisti. I Pooh non hanno voluto commentare la vicenda.
La comodità, del resto, è ciò che uccide la rana. Presente quella storia della rana, no? Una rana sta nella pentola sul fuoco, con l’acqua che si scalda piano piano. All’inizio resta lì, tranquilla, a godersi il bel tepore. Finché la temperatura non diventa talmente alta che lei capisce che la stanno cuocendo. Ma a quel punto è troppo tardi, perché non ha più le forze di saltare fuori. E dire che la lucertola le aveva consigliato di iscriversi al corso di acquagym.
La rana deve saltare fuori dalla pentola, se vuole sopravvivere, deve stare scomoda per decidere di farlo quando ancora può. E non a caso nello sviluppo sostenibile si parla di leapfrogging per indicare un Paese che, partendo dal poco o dal niente, si dota dei modelli più avanzati e puliti per crescere senza passare per gli stessi stadi tecnologici attraverso i quali è passato il Nord Globale e dai quali oggi si prova faticosamente a liberare – per esempio l’uso massiccio di succo di dinosauro come fonte energetica. Il salto della rana è uno dei percorsi della giusta transizione, quella che non lascia indietro nessuno: benessere e sviluppo sì, ma pulito. È di questo che hanno discusso nel primissimo Africa climate summit a Nairobi i leader dei Paesi del continente africano, quello ricco di sole, risorse naturali e minerali preziosi per la transizione ecologica del mondo, da sempre intrappolato in una narrativa di sottosviluppo. Esattamente come fu per il Salento prima del boom di turisti. La posizione emersa dal summit è chiara: dotare l’Africa di un’industria green facendo un salto in avanti è un beneficio per l’intero pianeta. Ma per farlo, ovviamente, servono soldi. Per questo al summit c’erano gli inviati di Europa e Stati Uniti. Che seppur pieni delle migliori intenzioni, continuavano sospettosamente a stringersi in mano il portafoglio. Vecchi pregiudizi difficili da scalfire o incapacità di prendersi le proprie responsabilità climatiche? “No no,” hanno assicurato loro, “è che se lo teniamo in tasca da seduti, poi stiamo scomodi.” A questo punto, speriamo sia così.
📰 Breaking le news
Il CEO di Ryanair O'Leary colpito in faccia con una torta da due attiviste per il clima (SkyTG24). Dramma: era a dieta.
Le specie aliene costano al Pianeta 423 miliardi di dollari all'anno (Green&Blue). Tutti in pistole laser e scudi spaziali.
Il Lago Titicaca si sta prosciugando (CNN | in ita Ohga). Turismo, pesca e agricoltura delle Ande sono in un mare di cacca, ma ora solo metaforicamente.
Sei miliardi di tonnellate di sabbia prelevate ogni anno dai fondali marini, l’allarme ONU (BBC). Verso il bando delle clessidre entro il 2027.
Secondo l’ex capo dei pompieri australiano, l’esportazione di combustibili fossili del Paese devastato da incendi equivale a “spacciare droga per mantenere il proprio stile di vita” (Guardian). Rogo-redo.
Agli US Open caldo e umidità eccezionali per la stagione stanno facendo perdere il controllo ai giocatori (NY Times). “Un giocatore morirà e poi vedrete” ha detto il tennista Medvedev. “Non io” ha risposto Djokovic, noto No Morte.
Abbiamo vissuto l’estate più calda di sempre (LaSvolta). Se non sei riuscito a rimorchiare nessuno, hai davvero qualcosa di sbagliato.
Cosa dicono gli scienziati climatici ai propri bambini? (Scientific American). Approcci costruttivi e realistici per spiegare la crisi ecologica, ma qualcuno tenta la via dell’onestà: “Sai Paolino, prima che sia troppo tardi voglio dirtelo: non ti ho mai voluto.”
Sudata fredda
Islanda: è tornata la caccia alle balene (LaSvolta). Siamo veramente alla fine della body positivity?
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Mattia
Meraviglioso come sempre