Trenta fottutissimi anni
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
👋 Ciao, oggi è il mio compleanno 🎂 e io vi racconto di come COP15 potrebbe essere il regalo migliore che riceveremo questo Natale🎄calze buffe e mutande che suonano Jingle Bells escluse!
È successo. Ho 30 anni.
Trenta, fottutissimi, anni. Sembra due anni fa che ne avevo ventotto. Come è regolare il tempo, alle volte… Ho ufficialmente la stessa età del Summit della Terra di Rio de Janeiro, la prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull'ambiente. Però li porto meglio.
Trent’anni sono tanti o pochi, a seconda che lo chiedi all’imputato o al giudice. Quasi trent’anni ci separano dal 2050. Come ci vogliamo arrivare lì, al 2050, noi umani, noi specie pericolosa, noi che la Terra poteva essere la nostra villetta tutta curata e invece l’abbiamo resa latrina? Si è chiusa COP15 sulla biodiversità questo lunedì e pare che l’intenzione sia di arrivarci meglio di come stiamo ora, anche se a rilento. Comunque non pretendo chissà che, ma almeno quando fate la grossa cercate di sedervi.
Tutti i Paesi del mondo si sono ritrovati a Montreal per due settimane per trovare un accordo su come costruire un percorso di armonia con la natura. C’eravamo tutti, filippini, congolesi, europei. C’era pure la nuova ragazza del figlio di Giovanna, molto educata. Mancavano solo gli Stati Uniti d’America e il Vaticano, che non hanno mai ratificato la Convenzione sulla Diversità Biologica e comunque il Natale lo hanno sempre trascorso coi parenti in Liguria. Magari riproviamo a Pasqua?
In queste ultime settimane ci siamo chiesti cosa sarebbe uscito fuori dalla conferenza e ora lo sappiamo. Il Kunming-Montreal global biodiversity framework è stato sottoscritto da 196 delegazioni, presenta 4 obiettivi generali e 23 target specifici che coprono diversi temi caldi, dal ripristino dei territori degradati al recupero delle specie minacciate, dalla mobilitazione di flussi finanziari per la conservazione alla richiesta che le aziende siano trasparenti sulle loro relazioni con la biodiversità. Anche se su WhatsApp già da mesi circolano certi video scabrosi.
È passato il punto del 30x30, ossia la trasformazione del 30% delle terre e dei mari in aree protette entro il 2030. Era “la bella del ballo” che molti aspettavano di vedere realizzarsi. Non ci sono chiari riferimenti numerici, non si sa per esempio quanti e quali ettari, o in che misura un habitat sia considerato “degradato” o ancora come queste aree verranno efficacemente protette. È un po’ come quei claim delle pubblicità che non sappiamo mai cosa farcene, tipo “elimina il 99% dei batteri” o “povera di sodio”. Il 30x30 era stato in queste settimane aspramente criticato per la matrice colonialista con cui è finora stato portato avanti. Storicamente, proteggere un’area del pianeta ha significato cacciarne le comunità indigene, nonostante la scienza le indichi come vere supereroine della conservazione, quelle che da sempre vivono in equilibrio con le altre specie, che se coinvolte ti fanno girare gli ecosistemi per bene, che ti fanno funzionare in armonia foreste, fauna, piante e laghi. E ti rilasciano pure regolare fattura. Nel framework finale ci sono diverse menzioni ai popoli indigeni e questo è un ottimo risultato. C’è riconoscimento e rispetto dei loro diritti, del loro ruolo chiave nelle terre che abitano da millenni e della necessità di collaborare con loro per proteggerle. Come segno di fraterna amicizia, nel siglare l’accordo finale il Nord Globale voleva anche aggiungere pacchi di coperte e perline come dono, ma le comunità indigene hanno gentilmente rifiutato.
Tra le decisioni finali di COP15 appaiono diverse cosette interessanti, tipo la mobilitazione di alcuni miliardi di dollari (mai abbastanza, ma mai ci fanno schifo) in fondi per la protezione della biodiversità e l’eliminazione di almeno 500 miliardi di dollari in incentivi e sussidi ad attività dannose per l’ambiente. Forse perché è quasi Natale, c’è anche un intero target riferito ai consumi eccessivi: si parla di dimezzare gli sprechi alimentari, ridurre significativamente i sovraconsumi e la generazione di rifiuti. Praticamente è una frecciatina al mio cenone della Vigilia.
Uno dei quattro obiettivi dell’accordo prende di petto la questione della biopiracy, che è quel fenomeno per cui le multinazionali abbordano le comunità indigene per rubare i segreti delle proprietà naturali della flora e fauna che queste conservano da secoli. Dopo avere assaltato il tesoretto genetico di queste specie, lo depredano per farci cremine e medicine e tuttecosine che poi brevettano. Le multinazionali lucrano, non condividono nemmeno un centesimo con le comunità locali e con gli enormi profitti si fanno l’uncino nuovo, il cappello incastonato di diamanti, la benda d’oro e la gamba di legno firmata Garpez.
Nel documento finale ci sono poi, come spesso accade, motivi di delusione. Come l’Accordo di Parigi, questo di Kunming-Montreal è a base volontaria. Inoltre, non include meccanismi di controllo, quindi tutto è da sperare. Alcuni intenti sono stati svuotati, primo tra tutti la lotta decisa all’estinzione di nuove specie, messa come obiettivo al 2050 – che, dicevamo all’inizio, è tra quasi trent’anni. In Italia sembrerebbe che ne stiamo già approfittando con l’emendamento che consentirà ai cacciatori di sparare agli animali selvatici nelle stesse aree protette di cui a Montreal si celebra la vittoria. E non solo lì: sparare nei parchi urbani, in qualsiasi momento dell’anno, cosa che anche il Far West si chiude in casa perché dice che fuori si è fatto troppo pericoloso. Un salto indietro, senza giustificazioni. Tuttavia mi domando: i figli dei miei vicini, posso ritenerli animali selvatici? Se continuano a giocare a pallone contro la parete della mia stanza, io lucido il fucile.
Insomma, come reagiamo a questa COP15?
Sulla newsletter
la mia amica Valeria Barbi spiega che “l’approvazione del Biodiversity Framework post-2020 è stata accolta con plauso dalla comunità internazionale e da quei pochi media che, almeno a conclusione del negoziato, hanno voluto spiegare che cos’è successo a Montreal.” Quel “pochi” prima di “media” non è casuale. Non possiamo dire che è solo colpa dell’Argentina che ha vinto il mondiale di calcio proprio il giorno prima della chiusura di COP, e che da quel momento il nodo cruciale della conversazione pubblica è stato focalizzato su decidere se Messi possa ora dirsi finalmente meglio di Maradona. Chiedo ai media: e la biodiversità chi la considera?“Va bene, su quella Diego tutta la vita, ma almeno Messi non è un cocainomane!”
L’accordo è stato definito storico. Peccato che in Storia avevamo la media del 5. Ma sputare su certi traguardi sarebbe poco saggio. Conclude Valeria: “è evidente che la cooperazione internazionale continua ad essere un importante motore d’azione così come i negoziati sono un’arena di dialogo, confronto e controllo vitale per le sorti del pianeta.” La cooperazione è alla base di tutto. Perfino il cenone di domani sera non sarebbe mai stato organizzato se non avessi negoziato con la mia famiglia una divisione di responsabilità comuni ma differenziate, del tipo che io ci metto casa e il primo ma almeno agli antipasti pensateci voi. Il framework è per noi non un traguardo ma un punto di partenza, una sorta di pavimento da cui rialzarci per raddrizzare quello che facciamo come comunità globale ma anche come individui. “Prima ancora di un accordo globale è necessaria una rivoluzione del pensiero comune che evidenzi come la biodiversità sia il pilastro della nostra esistenza e, da essa, dipenda ogni nostra azione, ogni bene o servizio di cui usufruiamo ogni giorno” spiega Valeria. Come per praticamente tutte le cose di cui scherziamo qui su Ride verde chi ride ultimo, la responsabilità è di tutti. Anche se alcuni ne hanno di più.
(Sì, sto parlando a voi, governi e multinazionali. Inutile che vi infiliate dietro l’albero di Natale, perché vi vediamo le scarpe tra i pacchi regalo.)
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Clima, a settembre un summit straordinario per ridare speranza (LifeGate). Sembrerebbe allontanato, invece, il rischio del debito in matematica.
Amsterdam ricicla tutto ciò che può (Repubblica). Ma se a Capodanno in ostello qualcuno sta per prendere la tua valigia, è probabilmente uno scippo.
Il colosso 3M annuncia che dal 2025 non farà più utilizzo di PFAS, sostanze chimiche altamente inquinanti (The Guardian). I bradipi: “Con calma, mi raccomando.”
L'orso Juan Carrito fa visita allo chef stellato Romito (Repubblica). Durissima la recensione.
Pannelli solari obbligatori sulle case a Tokyo entro il 2025 (Ansa). Finché da noi resta Sgarbi, proporre la stessa cosa sarebbe considerato seppuku.
Stefano Boeri: "Va ricucito lo strappo fra le città e la Natura" (Repubblica). La reazione preoccupata della sarta: “Dite al professore che fino al 7 gennaio sono chiusa.”
Nuova legge in Connecticut: le scuole pubbliche dovranno insegnare la crisi climatica (The Guardian). Le giustificazioni degli studenti si adegueranno: “Lo giuro prof, l’innalzamento dei mari mi ha mangiato i compiti!”
Vento, neve e freddo record: una tempesta storica si abbatte sugli Stati Uniti (RaiNews). Il Grinch sfrutta gli eventi estremi per rubare il Natale e dà la colpa alla crisi climatica.
Sudata fredda:
Attivisti intimiditi e criminalizzati, Amnesty: a rischio il diritto di protesta (Icona Clima). Finalmente i musei torneranno a essere quei luoghi pacifici in cui potremo continuare a non andare mai.
🎁Due regali per salutarci
Credo che Ride verde chi ride ultimo si prenderà una pausa natalizia e ci rivedremo con il nuovo anno. Credo, eh! Non essendo mai stato religioso, non inciderei questa cosa sulle tavole. Anche perché chi lo sa come mi va quest’anno, magari mi prende la depressione post-feste e vi scaravento contro la mia Riflessionona Sostenibilona di Capodanno. O magari no. Ad ogni modo, ho pensato di tenere il morale alto fino al nostro prossimo incontro con una scarica di buone notizie successe quest’anno. Che non fanno ridere, ma sorridere. Le ha riassunte Riccardo Liguori per La Svolta, le trovate qui.
Inoltre, ecco i modi approvati dalla scienza per contribuire attivamente e da subito a fermare la perdita di biodiversità. In sintesi:
donare soldi, tempo o competenze a progetti di conservazione, soprattutto se faticano a trovare fondi e aiuti pratici;
ridurre il consumo di carne, grande classico;
coltivare giardini e balconi pensandoli come case e corridoi per insetti e uccelli;
tenere i nostri gatti ben ciccioni e accoccolati in casa (sono dei biodiversity killer, questi stronzetti) e raccogliere le pile di escrementi dei nostri cani (vere e proprie armi batteriologiche).
Un ottimo argomento di conversazione a tavola, tra regali ubriachi e parenti brutti, o viceversa.
Comunque, noi ci si becca presto! Buone feste!
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Grazie e a presto!
Mattia