Falso storico
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale
Ciao! 👋Questa settimana parliamo di come è andata a finire COP28 🇺🇳 e cerchiamo di trarne qualcosa di buono!
COP28 si è conclusa con un “accordo storico”, di quelli che durante le interrogazioni non ricordi mai esattamente la data corretta ma più o meno chi era coinvolto e a cosa è servito. “Ehm… è l’accordo in cui hanno tirato fuori all’ultimo una metafora per dire che si andrà verso l’abbandono di tutti i combustibili fossili?” Giusto, è l’accordo del giro di parole per mettere nero su bianco ciò che in quasi trent’anni di diplomazia climatica non si era mai riusciti a esplicitare. “Ed è lo stesso accordo della Conferenza piena di petrolieri, che poi hanno detto che continueranno comunque a estrarre quei combustibili fossili?” Esatto, è l’accordo pieno di cavilli e scappatoie che ci manterranno appesi sull’orlo del precipizio ancora per diverso tempo. “Però, prof, non capisco: è prima o dopo questo accordo, che Al Jaber si è autoproclamato imperatore di Francia?” Torna al tuo posto, Marelli.
Sono trascorsi pochi giorni dalla fine della Conferenza delle Parti più controversa e qui su Ride verde chi ride ultimo eravamo rimasti con un cliffhanger degno delle migliori stagioni di Lost: l’ultima puntata arrivava a qualche ora dalla pubblicazione di una registrazione in cui il presidente di COP28 (che a guardarlo in faccia potrebbe tranquillamente essere il figlio illegittimo di Gargamella e Puffo Quattrocchi) se ne esce con una sparata di puro negazionismo climatico. Giù la maschera, inizia la tempesta, avevamo pensato. Ma allora come siamo finiti coi titoli entusiasti dei giornali che annunciano che la Storia, quella con la esse maiuscola, è stata compiuta?
Fast rewind. Dopo la pubblicazione della registrazione, la polemica è prevedibilmente esplosa. Ma Al Jaber ha provato a sgonfiarla organizzando una conferenza stampa express in cui ha voluto coinvolgere Jim Skea, il presidente dell’IPCC, l’organismo mondiale che rappresenta la Scienza del clima, anche questa con la esse maiuscola, però con gli occhiali con le lenti spesse e i brufoli. Il Sultano voleva che l’IPCC in persona smentisse le accuse. “Diglielo tu che vi ho sempre ascoltato!”
Scettico Skea:
“Sì? Come ci hai ascoltato quando siamo andati a comprare le scarpe?”
“Ma che c’entra adesso, qui si parla dei report--”
“E allora com’è che ogni volta che ti racconto qualcosa tiri fuori il telefono e scrolli Instagram?”
“Dai Jim, non è il momento, ne parliamo a casa”
“Figurati, non è mai il momento con te!”
Nei giorni successivi, COP28 pareva ricoperta di un’appiccicosissima patina di sfiducia e tensione, non agevolata dalla notizia che quest’anno stessero partecipando più rappresentanti dell’industria fossile che in ogni altra conferenza sul clima: ben 2456, tutti lì per annacquare i dialoghi, e per di più tutti con intolleranze alimentari che nessuno aveva segnalato in anticipo – nemmeno a dirlo, cucina in tilt e bagni tutti occupati. La presidenza aveva allora sfoderato una tradizione araba estremamente cinematografica, il majlis, un rito islamico che serve a trovare soluzioni ad una situazione complicata, una specie di falò di confronto di Temptation Island con il presidente della conferenza al centro e seduti in cerchio attorno a lui i Ministri di quasi 200 Paesi del mondo. A parlare col cuore in mano di ciò che impediva loro di compiere passi concreti verso un mondo climaticamente vivibile, ad accusarsi, a pretendere, a recriminare, a esortare. Poi il ministro portoghese ha pregato di ritrovare i toni della diplomazia, quella australiana ha tirato fuori una chitarra e arpeggiato una versione acustica di Despacito, e tempo cinque minuti i delegati avevano ritrovato l’ambizione e la voglia di fare. Tranne Vietnam e Islanda, che si erano imboscati per limonare duro.
Fast forward. Mercoledì 13, è mattino presto e qui in Italia ci svegliamo con la notizia. Un accordo è saltato fuori. Non solo: contiene una sorpresa. Una frase che per molti versi era impensabile. Si trova al punto d dell’articolo 28 del documento che sancisce il primo Gobal Stocktake. Recita:
“Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science”
Cioè transitare lontano dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in una maniera giusta, ordinata e equa, accelerando l’azione in questo decennio critico, così da raggiungere il net zero entro il 2050 in accordo con la scienza. Wow. Le due paroline con la effe che sembravano impronunciabili sono state scritte per la prima volta in un output ufficiale della convenzione sul cambiamento climatico ONU, accompagnate da un verbo che sancisce il loro allontanamento. Un giro di parole, come diceva il Marelli, una metafora che ha permesso di scavalcare gli ostacoli e arrivare a un dunque. Quale dunque? Transitioning away, quell’allontanarsi graduale, morbido, più ambiguo dell’abbandono (phase-out), più definitivo della riduzione (phase-down), più compromesso di quello che le parti coinvolte avrebbero voluto ma ad ogni modo accettato da tutte. Come nella più umana delle storie d’amore. Quella in cui si finisce per diventare due che si incontrano per strada, si salutano, ciao come stai, tutto bene, tu? Bene. Ok. Ok. Ci vediamo allora, ok? Ci vediamo. Ok. E niente più.
Sembra poco, sembrano solo parole, poche parole, ma è chiaro che in un accordo internazionale sono le parole l’unità di misura. Queste ci fanno contenti perché non era mai successo che si scrivesse l’intenzione a disintossicarsi dal fossile, sono storiche in questo senso. Come ha detto bene il ministro dell'ambiente danese Dan Jørgensen: "Sono imbarazzato che ci siano voluti 28 anni per arrivare qui, ma siamo felici!” A cui è seguito il lungo applauso delle carrozze del Frecciarossa Bari-Milano Centrale.
È una storia da film, questa COP28, piena di scandali, colpi di scena, cariche di grande spessore e caricature. Proprio come il criticatissimo Napoleon di Ridley Scott, è una storia ma non è la Storia. O meglio non quella che abbiamo veramente bisogno di veder compiuta - chiedetelo all’Italian Climate Network e vi risponderanno con l’analisi più completa voi possiate trovare sui risultati di Dubai. Lei, la Storia di questa nostra lunga battaglia contro la crisi climatica, tuttavia va avanti da qui, da questa storia imperfetta e entusiasmante che si è appena conclusa. Procede, e lo fa nello stesso modo in cui guida mia nonna: lenta, piena di infrazioni, e senza mai guardare gli specchietti. Però sempre fino a destinazione.
COP28 ci lascia una metafora. E ogni metafora è un kilt, perché mostri la verità tocca aspettare una folata di vento. COP28 ci lascia promesse, anche, e l’attesa di azioni tangibili che seguiranno, quelle che daranno un corpo a quel transitioning away. Ho parlato con tante persone in questi giorni, chiedevo loro come percepissero COP28, come reagissero a questi titoloni, al perché non si fossero interessate prima di cosa accadeva in quei padiglioni. A parte un paio di loro che mi hanno confessato di essere rimasti troppo indietro con i regali per il Secret Santa in ufficio, quasi tutte hanno risposto con una parola: disillusione. Dalla politica, dalle scelte internazionali, dall’industria del fossile, da un sistema che si mangia da solo. Io stesso, nei giorni in cui circolavano le prime bozze e le notizie di una incapitolabile resistenza da parte dell’OPEC verso ogni accordo soddisfacente, percepivo di stare perdendo ogni speranza. Mi sentivo convinto ancora e ancora che lo scontro per la nostra salvezza fosse ormai assunto a un incontro di box tra Rocky Balboa coi guantoni sporchi di Oil&Gas e Rocco Bilbao, uno smilzo portoghese che non ha mai fatto a botte ma a Monopoli è un drago; con noi che in questa partita continuiamo a pescare la carta Andate in prigione e senza passare dal “via”. Per questo penso sia importante che alla fine una promessa comune sia saltata fuori. Perché alla fine le promesse servono prima di tutto a farci stare meglio, a rincuorarci. Per un attimo, a farci pensare che tutto si realizzerà.
Dunque, sguardo al domani. Gli studios hanno già in cantiere due sequel di COP28: la 30 in Brasile, che sarà fondamentale perché verranno definiti i nuovi impegni climatici di tutti i Paesi, e la 29. A tal proposito, c’è stato un piccolo imbarazzo in queste settimane perché non si riusciva a decidere dove farla, la conferenza del 2024. Inizialmente prevista per Mosca, che però non è più un’opzione un po’ per la questioncina irrisolta della guerra in Ucraina e un po’ perché nella capitale russa ci sono abbastanza ristoranti vegani, in assenza di altri posti si sarebbe dovuta fare a Bonn con però la stessa presidenza di Dubai. Ma poi i delegati hanno riguardato Aladdin 2 - Il ritorno di Jafar, e si sono resi conto che la trama non reggeva. Allora è partita una tiritera di Paesi che si candidavano ma altri che ponevano il veto per guazzabugli geopolitici. Stati che offrivano di mettere la casa ma il cibo lo portate voi. Altri che farei anche da me ma ho mamma che torna a mezzanotte e quindi poi ci tocca andare in taverna, solo che è fredda. Ad una certa non so come ma sembrava si dovesse fare in camera mia, ma 80.000 partecipanti, con tutto il bene, non saprei proprio come farceli stare. Si è offerto infine l’Azerbaijan ed è stato accettato. Però quando hanno chiesto di individuarla sulla mappa, ogni delegato ha puntato il dito in un posto diverso. Quindi probabilmente si terrà in remoto.
Come ti ha fatto sentire questa COP28? L’hai seguita, l’hai sentita? In entrambi i casi, ti va di raccontarmi il perché? Scrivimi e parliamone!
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Insomma, ci vediamo presto!
Mattia