Il mondo secondo Trump
Ride verde chi ride ultimo - È iniziata COP29, ecco tutto quello che devi sapere
Questa è una puntata speciale.
Che è un modo para-Hollywoodiano per dire che è quella di sabato, ma in ritardo. “Para-Hollywoodiano”? Sì, come in “vaffanhollywood!”
È iniziata ieri, lunedì 11 novembre, COP29. È la ventinovesima conferenza delle Nazioni Unite sulla crisi climatica, e come maneggiarla. Chi si interessa delle sorti del pianeta, in occasioni come questa respira aria da notte degli Oscar. Con l’atmosfera al posto di Chris Rock e i Paesi del mondo sviluppato in quello di Will Smith.
Tanti Will Smith messi in fila, ciascuno in attesa del proprio turno.
Ecco allora lo starter kit per affrontare queste prossime due settimane di summit!
1. Dove si svolge questa COP?
La COP sul clima parte nel peggiore dei climi. In un clima, quello mondiale, che ha vissuto il suo primo anno oltre il grado e mezzo di temperature medie (ne dobbiamo fare passare parecchi altri così per stabilire se, in media, il limite del +1,5°C sia stato infranto davvero, ma chi ben comincia…). Questa ventinovesima edizione si tiene a Baku, capitale dell’Azerbaigian, paese che dove metti metti la j, comunque sbagli. Per il terzo anno di fila si ripete uno schema che fa venire i brividi ai movimenti per il clima: il Paese ospitante è uno di quelli in cui diritti e ambiente valgono meno delle calamitine nei negozi di souvenir all’aeroporto. L’anno scorso, COP28 si era tenuta a Dubai, patria degli sceicchi del fossile e dei fuffaguru. Quello prima, COP27 a Sharm el-Sheikh, in un Egitto che capisce i diritti umani meno che mia sorella il fuorigioco.
“Ma non era mano, quella?”
“Quella sulla gengiva dell’attivista? A me pareva più bastone”
Purtroppo, su certe violazioni il VAR non interviene mai.
L’anno scorso, il sultano Al Jaber, CEO della compagnia petrolifera nazionale Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), aveva diretto i lavori per trovare un accordo su come abbandonare la principale fonte di emissioni, i combustibili fossili. Minimizzando però l’evidente conflitto di interessi. “Non sono il mio lavoro” si era giustificato lui, per poi aggiungere: “#worklifebalance,” Quest’anno, il presidente designato di COP29 è Mukhtar Babayev, che in passato ha lavorato nella Socar, l’equivalente azera della ADNOC, e che però ha dimostrato di avere preso seriamente in considerazione le grandi critiche mosse dalla comunità internazionale ad Al Jaber. Motivo per cui ha fatto arrestare giornalisti e attivisti preventivamente.
Ha senso fare summit sull’emergenza climatica in Paesi dipendenti dalla sua principale causa? Si potrebbe argomentare che è difficile prendere decisioni sulle emissioni senza avere a bordo chi produce gas e petrolio. Ma questi dovrebbero fare come chi scrocca il passaggio ai matrimoni: sedersi dietro, stare con lo zainetto sulle ginocchia, sorridere e ringraziare. Invece, come era successo negli Emirati Arabi Uniti, anche questa volta i padroni di casa stanno sfruttando l’occasione per stringere accordi per espandere le estrazioni di ciò che la Scienza ci chiede da anni di lasciare sottoterra (ce lo rivela un’inchiesta di Global Witness featuring Scherzi a parte). L’Azerbaigian non ha commentato il video del suo delegato che prova a vendere progetti fossili, ma per farsi perdonare ha offerto di mettere lui la macchina tra chiesa e ristorante.
2. Saranno negoziati climatici senza USA?
Il clima è pessimo anche a causa della vittoria di Donald Trump alle elezioni americane (non so se l’avete sentito, ma la settimana scorsa ha battuto Kamala Harris). Una cosa da non credere. Anche se io sono rimasto più stupito che il Milan abbia battuto il Real Madrid in Champions, quello stesso giorno. Non me lo aspettavo. Ma del resto non ho studiato scienze politiche. E di calcio, comunque, ho sempre capito poco.
Trump è una pessima notizia per clima e ambiente, sia all’interno del Paese, sia fuori. L’avevo raccontato a caldo qui. In campagna elettorale e poi nelle sue prime dichiarazioni da Presidente eletto, lo Stefano De Martino made in USA ha promesso di:
smantellare la EPA, l’Agenzia di Protezione dell’Ambiente, e (ri)mettere al posto degli scienziati i suoi fedelissimi, le cui uniche sufficienze a scuola erano in educazioni fisica e in religione, che però non fanno media;
(ri)togliere molte delle regolamentazioni che impediscono alle aziende di spargere inquinanti tossici nell’acqua e nell’aria, motivo per cui la sua festa post election night era zeppa di Elon Musk e di altri imprenditori, e il pavimento era pieno di avanzi gettati a terra, appiccicosissimo. Secondo l’analisi di Michael Thomas di Distilled, anche Microsoft, Amazon, Google e Facebook hanno da guadagnarci da certi alleggerimenti sui limiti all’inquinamento: alle campagne elettorali di ben 74 candidati che negano l’origine antropica della crisi climatica, le quattro big dell’internet hanno donato un totale di 521.100 dollari; in più hanno promesso loro di cancellare certe foto mandate in DM ad alcune giovani influencer su Instagram, che mai dire mai.
cancellare le centinaia di miliardi di dollari di incentivi a rinnovabili, batterie e veicoli elettrici, voluti da Biden e Harris con l’Inflation Reduction Act di 2 anni fa, nonostante stiano creando un boom di economia pulita nel Paese e in particolare in alcuni Stati Repubblicani. Trump ha invece promesso di tornare ad estrarre quanti più combustibili fossili possibile all’urlo di “drill, baby drill” (trivella, baby, trivella), che fa accapponare la pelle tanto a chiunque conosca la fisica dell’atmosfera quanto a sua moglie Melania, che ha dovuto conoscere il suo fisico in camera la sera. Per finanziare la sua campagna, The Donald ha chiesto ai grandi produttori di gas, petrolio e carbone 1 miliardo di dollari - e qualcosa dovrà pur dare loro in cambio. “Spero me!” ha supplicato la futura First Lady.
Ma soprattutto, appena insediato Trump ha giurato che ritirerà gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Nuovamente. Perché sì, l’Accordo è nato nel dicembre 2015, ma nel novembre 2016 Trump ha vinto le elezioni e annunciato il primo ritiro degli USA, formalizzatosi solo nel 2020 il giorno dopo la vittoria di Joe Biden. Che, appena insediato nello Studio Ovale, è rientrato subito nell’Accordo. Insomma, USA e Accordo di Parigi si prendono e lasciano come Rachel e Ross in Friends. Niente Accordo, niente ruolo di peso nelle COP, nelle negoziazioni multilaterali. E poi, a furia di fare dentro e fuori, fuori e dentro, il pavimento si sporca di sfiducia. “Se gli USA non fanno nulla, perché dovremmo farlo noi?” si potrebbero domandare altri Stati. Una domanda legittima: “l’America” è attualmente la più grande economia del mondo, il secondo più grande inquinatore, il primo per emissioni storiche. Se non si impegnano loro, perché dovremmo farlo noi? È la domanda più pericolosa che aleggerà durante tutto Trump II. Cosa ne sarà degli sforzi comuni sul clima, senza gli americani? Che palle saranno i summit senza di loro, che raccontavano le barzellette? Chi prenderà il loro posto, la Cina, l’Unione Europea? Basta che non sia la Svezia, che ancora ripete quella con Pierino, Pippi Calzelunghe e la geotermia.
Gli USA non spariranno del tutto dai radar. Almeno, secondo l’inviato statunitense John Podesta, che nel suo discorso del primo giorno di COP29, ieri, ha specificato che “l’impegno climatico statunitense non muore con Trump”. Poi ha pianto per 40 minuti d’orologio, finché il Canada non l’ha portato via dal palco offrendogli un fazzoletto e il rifugio politico.
Chi non c’è alla conferenza Baku?
Trump, chiaro, ma nemmeno Biden. Né Ursula von der Leyen. Né Putin. Né Macron, né Lula. Sono tutti impegnati con beghe interne parecchio pressanti - guerre in corso, rallentamenti economici, instabilità politica, trasferimenti di poteri, idraulico che ha detto che passava ma ancora niente. Eppure, sarò paranoico io, giurerei di aver visto un video in cui il gruppo di leader mondiali si divertono sui tronconi di Gardaland.
Sapete chi c’è, invece? Sparate! Anzi no, visto che parlo dei talebani. Ma non tipo “Greta è una talebana dell’ambiente, una plastic-nazi.” No, i talebani talebani, quelli veraci, con turbanti e morte agli USA! stampato sulla targhetta dei trolley. Li ha invitati l’Azerbaigian, causando un po’ di nervosismo tra le Nazioni Unite che non li riconoscono come governo ufficiale dell’Afghanistan. Perfino il Pakistan si è un po’ agitato, appena la delegazione talebana è entrata in sala:
“Kenya, non ti girare”
“Che c’è?”
“È entrata la mia ex...”
L’obiettivo di COP29 è la finanza climatica
L’obiettivo di questa COP resta comunque uno: trovare i soldi per supportare tutti i Paesi del mondo nella transizione verso energia pulita, tecnologie verdi, protezione della natura, e porre così fine (più o meno, circa, quasi) alla crisi climatica. Troviamone un deca in più e ci prendiamo anche dei pasticcini per festeggiare.
Quanti soldi si cercano? 1 trillion dollar, ossia mille miliardi di dollari, che è dieci volte più dei 100 miliardi che nel 2009 ci eravamo ripromessi di immettere in sforzi di finanza climatica ogni anno (riuscendoci solo nel 2022). È un balzo in avanti così ambizioso che le delegazioni per la prima volta si sono portate dietro interi pool di ludopatici esperti, muniti delle migliori monete per gratta-e-vinci sulla piazza.
Sono tantissimi, mille miliardi, ma solo se li guardiamo attraverso la lente della pensione di quella nostra prozia da cui ancora dipendiamo economicamente. Sono solo l’1% del PIL, invece, se li valutiamo sulla ricchezza mondiale. La cui prozia è ancora viva e vegeta, tra l’altro.
Dove potremmo prenderli è presto detto: l’industria del fossile ha fatto profitti da mille miliardi ogni anno negli ultimi 50. Tutti in nero, come il petrolio. Poi ci sono le possibili tasse a tutto ciò che aggrava la crisi climatica: i super ricchi, gli aerei, i prodotti a maggiori emissioni, quelli che scroccano Netflix e Spotify che poi giusto, devo ancora saldarti da maggio a settembre, vero? Quant’è che era? Dopo guardo e te li mando su PayPal, ok? Se, come no, ci vediamo a COP30.
Quei soldi ci sono, quindi, e basterebbe indirizzarli nelle giuste tasche. Ossia quelle dei Paesi in via di sviluppo, spesso i più colpiti, ma meno colpevoli degli effetti devastanti del clima che cambia, in cerca di uno “sviluppo” che possa bypassare gli errori di chi si è già industrializzato inquinando, saltando direttamente alle tecnologie pulite. Li passerebbero, quei soldi, i Paesi più ricchi e più colpevoli, in una logica di giustizia climatica. Lo farebbero tramite la Banca Mondiale insieme ad altri istituti di sviluppo. Nel migliore dei casi, come ridistribuzione dei soldi a fondo perduto, a risarcimento, secondo il modello chiamato in gergo “busta di Natale, anonna”. Nel peggiore, come prestiti. E sarebbe una cosa brutta, onestamente, perché come ho letto da qualche parte, sarebbe tipo che ti rubo l’auto, ci faccio un incidente e poi ti propongo un prestito con interessi perché tu te la possa riparare.
Insomma, vada come vada questa COP29 non promette molto e quindi ha solo da sorprendere. Mi raccomando, seguite Areale per un bollettino quotidiano su cosa succede giorno per giorno nella conferenza, il Guardian per chi andava forte in inglese, Italian Climate Network per i veri nerd e LifeGate per spiegazioni puntuali.
Noi ci sentiamo sabato con la puntata normale (parahollywood, ricordate) di Ride verde chi ride ultimo! Nel frattempo, dimmi:
Ciao, io sono Mattia Iannantuoni e questa è la fine di Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
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Alla prossima settimana!
Mattia