Maliziosità vegana
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
Ciao!👋 E se la soluzione per adottare abitudini alimentari più sostenibili fosse la stessa per risolvere il dubbio cosmico che mi assale ogni volta che apro il frigo in cerca di idee su cosa cucinare? 🍆
Ogni volta che sento dire “usare il bastone e la carota” a me parte una risatina maliziosa, da studente del liceo.
È che c’è qualcosa di grottescamente machista, dolcemente volgare in questa figura retorica. “Bastone e carota” significa dover persuadere qualcuno con un’alternanza di maniere forti e premi, di lusinghe e punizioni. Winston Churchill, per esempio, la usò nel 1943 per spiegare come intendeva procedere nei rapporti con l’Italia al collasso, ossia, disse, bisognava insistere “sull’asino italiano da ambedue le parti, con una carota e con un bastone” (in originale “We shall continue to operate on the Italian donkey at both ends, with a carrot and with a stick”). Ridacchio di nuovo, ma questa volta il prof di storia mi lancia un’occhiataccia.
Prima che bastone e carota entrassero nell’armamentario degli uomini politici, c’era un’altra figura retorica che li associava, simile alla precedente ma profondamente diversa: quella della carota appesa al bastone, o “carrot on a stick”. Per intenderci, è quella che noi abbiamo imparato a riconoscere come device comico usato e riusato nei cartoni animati, del tipo che attacchi un cibo gustoso alla fine di uno spago che fai ciondolare con un bastone (appunto) davanti agli occhi di una persona/animale, e questi inizierà a correre per raggiungerlo senza mai riuscirci. È un classico che fa sempre ridere, anche se meno di un’allusione ad una carota nell’ano.
“Iannantuoni, dal preside!”
Perché questa lunga intro sulle possibili combo di bastone e carota? Perché, ladies, gentleman and dear whatever-elses, il vero ostacolo che ci impedisce di dare una svolta in chiave sostenibile alle nostre scelte alimentari sta tutta qui. Ossia nei metodi per convincere e convincerci a ridurre il consumo di carne, pesce e formaggio a favore di verdure e legumi. A mangiare più carote, insomma, ma senza dovere ricorrere alle bastonate – metaforiche – delle colpe morali, dei diti puntati dei green influencer, della peer pressure degli amici vegani.
Ah, gli amici vegani… Ci siamo abituati all’idea di avere a che fare con il veganismo (-esimo?), spesso contestualizzandolo, magari avvicinandolo, in alcuni casi odiandolo. Odiandolo, sì, poiché chi ignora e vuole ignorare è sempre in cerca di un punto su cui tracciare la linea della propria intolleranza al cambiamento. Addirittura fino a trasformare il vegano nel nuovo musulmano: la minaccia venuta da lontano per privarci dei nostri piaceri identitari. D’altronde, chi mi dice che sotto il burqa non ci sia del pericolosissimo tofu?
Ma l’abitudine non comporta sempre l’assimilazione. E infatti dal Rapporto Italia 2022 di Eurispes emerge che solo il 5,4% degli italiani indagati si definisce vegetariano, e appena l’1,3% vegano. L’80% degli altri dice di rispettare la scelta personale di questa minoranza. “Figurati,” ci tengono a precisare “ho tanti amici che lo sono, persone squisite davvero.” Tuttavia, non stanno cambiando le proprie abitudini alimentari. “Anzi, se posso dirla, tutta mi sentirei meno in imbarazzo se i vegani facessero certe cose a casa loro.”
La posizione comune oggi sembra essere posta sul “vorrei ma mo’ griglio”. Perché mangiare vegetale e ridurre il consumo di carne sono cosa buona e giusta, anzi importantissima, necessaria, tu che lo fai sei bravissimo, lo so io, lo sai te, lo sappiamo tutti. Ma se a pranzo ho già mangiato pasta e insalata, stasera una bistecchina vuoi che non scappi?
E va be’ che il consenso scientifico ci dice che tra le cose più impattanti che possiamo fare noi singoli per costruire un sistema alimentare sostenibile (per l’ambiente ma anche per la nostra salute) ci sia proprio l’adozione di diete in cui preferiamo prodotti vegetali a quelli di origine animale! E va be’ che incontrare dati che lo dimostrano sia ormai più comune che leggere di offerte lascive sui muri dei bagni della stazione! E sti gran va be’ di tutto ciò! Perché i dati e le informazioni sono sì necessari, ma mai sufficienti. Perciò in un mondo in cui chi voleva veganare vegana, chi voleva provarci un po’ ci prova, la restante fetta prosegue per la sua strada. Chiedetelo a “Manolo, goloso di salame, no perditempo” al numero scritto col pennarello proprio sopra lo sciacquone.
Allora ci vuole veramente il bastone – non metaforico, questa volta, e nemmeno quello di Manolo - per farci mangiare più carote?
La risposta è no. E per capirla dobbiamo andare nelle mense di sempre più scuole e aziende in giro per il mondo.
Nel gennaio del 2022 l’Università della California ha istituito il “Meatless Monday”, il lunedì senza carne, nelle mense di tutti e dieci i suoi campus. Harvard, un mese dopo, ha annunciato la riduzione del 30% delle opzioni a base carne nei menù delle sue aule pranzo, compensandole con una più ricca offerta di pasti a base di proteine vegetali. Aveva fatto la stessa cosa nell’ottobre 2021 l’università di Cambridge, e pochi giorni fa i suoi studenti hanno votato per chiedere all’università una transizione a menù completamente vegani. Microsoft nelle sue caffetterie ha trasformato i menù rendendoli plant-based per metà delle pietanze disponibili. Le trentaquattro mense e caffetterie universitarie di Berlino, sempre nel 2021, hanno deciso di eliminare quasi completamente le opzioni a base carne, ridurre a soltanto il 2% quelle di pesce e fare in modo che sette piatti su dieci fossero vegani. Recentemente IKEA, che già ha l’obiettivo di offrire nei propri ristoranti menù che al 50% siano a base vegetale, ha annunciato l’intenzione di eliminare o sostituire i formaggi e latticini attualmente presenti. La città di Edimburgo ha fatto notizia in questo inizio di 2023 diventando la prima capitale europea ad aderire al Plant Based Treaty, una dichiarazione di intenti internazionale con la quale si impegna a eliminare gradualmente i piatti a base di carne da tutti i menù delle scuole e degli ospedali pubblici, delle istituzioni locali e delle carceri. Al che alcuni carcerati si sono indispettiti: “E della nostra richiesta per dei porta-saponette meno scivolosi, che ne è stato?”
Cosa c’è dietro questa tendenza a riprogettare i menù per rimodulare l’offerta di pietanze vegetali e perché è una soluzione efficace? La tattica fa leva sulla teoria dei nudge, quell’approccio economico-comportamentale per cui si può architettare la struttura nella quale l’individuo farà delle scelte in modo da indirizzarlo verso quelle che vorremmo facesse, ma senza obbligarlo, costringerlo o dovere assumere in mensa la Carmelona, un donnone di 90 kg x 130 cm di altezza che appena appena inizi a dire “Mi dà un hamb…” lei solleva una mano larga quanto una zucca e ti serve una degustazione di ceffoni. È una teoria di cui parlano ampiamente il Nobel per l’economia Richard Thaler e il co-autore Cass Susntein in questo libro, che in italiano ha per sottotitolo La spinta gentile e allora lo vedi che sei proprio fissato?
Riprogettare i menù della mensa rendendo i piatti vegetali la parte corposa se non addirittura predominante dell’intera offerta disponibile significa spingere gentilmente i clienti a ridurre il consumo di alimenti a base animale. È una soluzione di contesto che non impone costrizioni, non chiede sacrifici, semplicemente fa sì che naturalmente il singolo sia portato a fare una propria scelta tra un ventaglio di alternative nelle quali l’opzione plant-based risulta più conveniente, facile, appetibile, addirittura sexy:
“Ma che belle melanzane…”
“Scusi?”
“No dico, la parmigiana.”
“Ah, sì. Mi scusi, sì, è il nostro cavallo di battaglia.”
“Sembra molto gustosa.”
“Pensi che le cuociamo semplicemente al vapo–"
“Cosa porta di reggiseno lei, una quarta?”
Sorprenderà che un’azione tanto semplice sia un grande driver di scelta vegetale, ma a dirci che questa cosa dei menù funziona sono diverse evidenze scientifiche. Una ricerca condotta ad Oxford da Rachel Pechey mostra come nelle caffetterie in cui si offre un menù con prevalenza di pietanze a base vegetale, più si aggiungono opzioni veg più il consumo di carne si riduce. Tornando ad IKEA, per esempio, nel suo più recente bilancio di sostenibilità ha fatto sapere che le sue polpette e i suoi hotdogs vegani si sono rivelati un vero e proprio successo commerciale, specialmente da quando hanno iniziato ad aggiunge sul vassoio la brugola adatta per montarli.
L’efficacia aumenta ulteriormente quando i menù sono costruiti su migliori scelte linguistiche. Un esperimento condotto su una catena di caffetterie del Regno Unito ha mostrato che piatti vegetali non etichettati come “senza carne” o “vegetariani” ma piuttosto in modi che valorizzano le loro caratteristiche di gusto o l’origine genuina dei loro ingredienti vengono comprati con più frequenza. In esperimenti simili, piatti presentati insieme a poche informazioni chiave, purché semplici e positive, sui benefici in termini di emissioni di gas serra arrivavano in certi casi a raddoppiare il tasso di acquisto da parte dei clienti.
Gli effetti sulle abitudini alimentari dovute a menù “più ampiamente verdi” escono dalla mensa, spesso senza pagare il conto. Si registra di come più opzioni vegetali rendano l’idea di un pasto vegetale normale per gli studenti delle scuole, che si portano a casa queste nuove abitudini trasmettendole alla famiglia. Un po’ come i pidocchi, ma rigorosamente sottoforma di farina per crackers, pasta e panificati.
Indipendentemente da quanta carne siamo abituati a mangiare, insomma, la scienza ci dice che tutti siamo mediamente portati a mangiarne meno quando ci sono più opzioni vegetali a nostra disposizione. E dunque questo risolve la cosa del bastone e la carota. Perché sempre più persone adottino abitudini alimentari climaticamente e ecologicamente più sostenibili, dobbiamo abbandonare il bastone e prendere, al suo posto, un bel mucchio di frutta, verdure, legumi. Comprese zucchine, banane, cetrioli e tutti quegli altri cibi vagamente fallici che Madre Natura ci regala ogni giorno. Se ci salveremo, infatti, sarà anche grazie ad una biodiversità di doppi sensi.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Siccità: in arrivo un commissario per l’acqua (LaSvolta). Sarà Winchester dei Simpson.
Sull’acqua, il governo ha iniziato a metterci la testa? (LifeGate). Sì, ma è quella del compagno di classe secchione, che ora ha paura di andare al gabinetto durante l’intervallo.
Il 77% dei giovani è preoccupato per la crisi climatica e boccia il governo (Repubblica). L’altro 23% stava su TikTok e non ha sentito la domanda.
Smart working, secondo l’Enea fa bene all’ambiente (SkyTG24). “Tranne a quello domestico” puntualizza sua moglie Roberta.
Un insetto dell’epoca giurassica è stato riscoperto in Arkansas (TheGuardian). Ora gli americani pregano per la collisione con uno zampirone spaziale.
Titanic torna in sala dopo 25 anni, James Cameron: "Oggi andiamo dritti verso l'iceberg dei cambiamenti climatici" (RaiNews). L’applauso del climatologo e meteorologo Luca Mercalli, che risponde al regista: “Dipingimi come una delle tue ragazze francesi.”
Perché Greta Thunberg protesta contro le centrali eoliche norvegesi (IlPost). Si tratta di un conflitto tra target di riduzione della CO2 e diritti delle popolazioni native, o è ancora quella brutta storia di debiti di poker e renne che non pagano?
Geoingegneria climatica: la nostra ultima spiaggia? (Icona Clima). Nel dubbio, la ministra del Turismo Santanché pensa già di darla in concessione a suo cugino.
Sudata fredda:
Rinviato il voto dei paesi Ue sul bando ai motori diesel nel 2035 e l’Italia dà una mano a Berlino (Domani). Il ministro Pichetto Fratin: “Governo Meloni in prima linea per salvare le Panda dall’estinzione.”
🪧Prima di lasciarci, ieri c’è stato un nuovo Climate Strike organizzato da Fridays For Future. Io ho partecipato a Milano e Valeria di Icona Clima mi ha strappato due parole sconclusionate sui motivi della mia partecipazione. E non avete mai assistito al mio orale di Economia Aziendale…
E voi avete partecipato allo sciopero nelle vostre città? Se sì o se no, fatemi sapere cosa pensate di questo tipo di azione, se secondo voi ha ancora senso manifestare così, se ha un effetto più o meno positivo per il vostro morale. Parliamone, qui o su Instagram, vi ascolto!
Questo era Ride verde chi ride ultimo!
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Grazie e a presto!
Mattia
Svezia, regina del nudge ;) Lo applicano a dieta(veganesimo), alcol, sport, sigarette, pagamenti elettronici... Lo applicano a talmente tanti ambiti e funziona talmente bene che ogni tanto, ti dirò, mi sento quasi manipolata.
Non sapevo ci fosse una teoria che riassumesse questa strategia. Grazie Mattia!
Questa puntata è da diffondere in ogni dove! Io sono anni che cerco di fare introdurre alternative vegetali a un'associazione di volontariato di cui faccio parte e che gestisce un ristoro di media montagna. Ti farò sapere se ci riesce la tua newsletter 😆 (ma sarà una lotta all'ultima carota, perché stiamo in Valtrompia, la patria dello spiedo).