Saremo quel che mangeremo
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
Ciao!👋 Questa settimana vi racconto di una cosa divertente che ho fatto due settimane fa e che probabilmente farò di nuovo (e così anche voi) 🦗
La situazione attorno a me è a dir poco aliena.
Influencer, giornalisti e foodies si scambiano espressioni di stupore, risatine nervose e fraintesi sguardi d’intesa mentre il futuro del cibo rimbalza dalle mani dei giovani cuochi ai vassoi di esperti camerieri, e di lì nelle bocche degli astanti che, reagendo alle presentazioni dei piatti, fanno: “Ah!” ma intendono: “Eh?!”
Perché sui tavolini, sparsi per la terrazza come pecore tra i pannelli solari, esplodono alghe, insetti e pesci mai sentiti, ma a mia discolpa parlano a voce davvero tanto bassa. È tutto cibo che un tempo pungeva, svolazzava, saltellava, mozzicava, ci sfiorava le caviglie quando stavamo al mare e dai che già faccio fatica a fare la pipì, se ti ci metti pure tu è la fine. Alcune delle specie che stiamo mangiando questa sera, intartarate o spiedinizzate, adagiate su rape fermentate o su budini giapponesi, arrivano originariamente dalle coste oceaniche, altre dall’estremo oriente, altre ancora da climi più mediorientali. Ma non dicevo “esplodono” in quel senso.
È che comprensibilmente i pregiudizi sono tanti, in un evento dal titolo Cibi del Futuro. È organizzato dal magazine Tuorlo ed è la tappa mondana di un progetto nato in collaborazione con il giornale Open e con un pochetto del sottoscritto. Il tema di Cibi del Futuro è la nostra alimentazione che cambia assecondando, inseguendo, perfino anticipando cambiamenti ecologici sempre più importanti.
Cambiamenti come siccità, alluvioni, innalzamento dei mari, temperature che sfidano la nostra capacità agricola, facendo sì che certe coltivazioni da cui dipendiamo siano sempre più complicate, e che altre, da cui siamo letteralmente assuefatti - caffè, birra e vino, ceci e grano, riso, cioccolato per dirne alcune - diventino rare, costose, impossibili, praticamente come mangiare fuori a Milano il venerdì sera.
Cambiamenti che riguardano il cibo di origine animale, già sotto accusa per l’enorme impatto sulle risorse del pianeta, che sta venendo sostituito da riprogettazioni a minore impronta ecologica. Ad esempio la carne vegetale, così simile a burger, salsicce e nugget “veri” che mai diresti che in realtà ha le tette rifatte.
Cambiamenti che coinvolgono anche alimenti che arrivano da lontano e che stiamo imparando provocatoriamente a mangiare. Tra questi, le specie aliene invasive. Sono specie ittiche, terrestri e vegetali che prima non bazzicavano i nostri territori, ma che ora li colonizzano grazie all’azione umana unitamente al cambiamento delle condizioni climatiche e ecologiche. Qui riescono a imporsi, a proliferare e a contendere con successo le risorse delle specie autoctone. Ad esempio il pesce serra, il granchio blu o la medusa, che ora che il Mediterraneo è più caldo prolifera lungo le nostre coste e ruba donne e “lavoro ai bagnini toscani.
A farci assaggiare un po’ di questo futuro, qui a Cibi del Futuro, è la cheffe Chiara Pavan con la sua brigata del Venissa. Un po’ per sfida, un po’ per missione, la cheffe Pavan già nel suo ristorante della laguna veneziana sceglie di cucinare quelle specie che l’hanno invasa a discapito delle popolazioni autoctone. Celeberrimo è il suo hummus di famiglia di turisti tedeschi, servito direttamente in una Birkenstock modello Arizona e accompagnato da un calzino bianco del ’96, cotto al vapore.
Viene definito invasivorism l’approccio che propone di affrontare il problema delle specie aliene invasive un morso alla volta. Un netto salto in avanti rispetto al pistolelaserism già conosciuto nei film di fantascienza anni 90. L’ecologista conservazionista Joe Roman dell’Università del Vermont è tra i primi ad aver suggerito che la gastronomia potesse fungere da strumento di contenimento contro l’invasore. Come se una volta che Annibale ebbe valicato le alpi, i romani avessero architettato una strategia per cucinargli gli elefanti sotto il naso.
“Come sai ti sono grato per aver scelto di voltare le spalle a Roma e aiutare me, ma davvero non capisco quale vantaggio comporti cospargere di sale, olio e pepe i nostri pachidermi.”
“Annibale, conosco i miei concittadini e ti ho dato la mia parola. Sono o non sono Caio Forno Ventilatus?”
Ma erano altri tempi. I panzer tedeschi della Seconda Guerra Mondiale si sarebbero rivelati molto più difficili da digerire. E tutti conoscete lo scandalo internazionale che fece nel Regno Lombardo-Veneto quella brutta faccenda delle palle di Mozart.
Mi guardo tra le mani. Ho uno spiedino di rapana venosa, un cuoppo di alghe fritte e un finto margarita con farina di grilli al posto del sale lungo il bordo. Cosa direbbe un sottosegretario all’agricoltura, un rampollo di Coldiretti in questo contesto? Me lo immagino davanti a me, omino basso e tozzo con barba ben curata e unghie pulite, la vena del collo gonfia mentre sbraita: “Prendi questa focaccia,” e mi sventolerebbe sotto il naso un soffice quadrato marroncino e speziato preparato dalla cheffe, “mi spieghi che senso ha fare una focaccia con i vermi?” Una domanda che mi sorprenderebbe se non avessi mai dimenticato sacchetti di farina aperti in dispensa. E comunque una risposta, io, l’avrei anche. Gli insetti occupano molto meno suolo, molta meno acqua, molti meno input agricoli e emettono molte meno emissioni di altri animali da cui traiamo le proteine. Di cui sono ricchi, per altro, così come lo sono di ferro, magnesio e altri minerali. Ma forse mi limiterei a constatare che la focaccia piace a tanti. Perché comprendo che fare muro agli insetti ci sia fin troppo naturale. Sotto sotto ci fanno orrore. E come fai a superare un ribrezzo tanto viscerale? Divorzi?
Certo, si potrebbe provare a insistere sul fatto che storicamente li abbiamo sempre mangiati. Per esempio nel Levitico, scritto da un profeta che nella vita civile faceva il dietologo, si fa una lista di cose che l’uomo può mangiare. Tra queste appaiono “ogni specie di cavallette, locuste e grilli”, ma non “ogni insetto alato che cammina su quattro piedi,” nemmeno se si stava solo stiracchiando.
Del gusto prelibato delle larve di scarabeo ci scrive Plinio Il Vecchio, anche se a quell’età faceva fatica a distinguerle dai Cheerios. Aristotele ci ha lasciato la sua recensione della larva di cicala, spiegando con dovizia che “gli adulti femmina sono migliori dopo la copula perché pieni di uova.” Motivo per cui ad Atene il filosofo non era ammesso nei reparti di ostetricia.
Si potrebbe provare a spiegare che gli insetti siano mangiati nel mondo da due miliardi di persone. Per quanto Arnold van Huis, che ha per primo messo in un rapporto FAO questa cifra, recentemente si è detto non più così sicuro della sua correttezza e ha sostenuto che a mangiare insetti siano probabilmente meno persone. “Il problema è che i camerieri stanno facendo un casino con le comande” si è giustificato il professore.
Si può provare, dicevo, ma un motivo per rifiutare qualcosa lo si trova sempre, se ci si impegna. Continuerebbe il mio interlocutore di Coldiretti: “E agli impatti sociali chi ci pensa? Sai cosa vorrebbe dire mettere quei poveri immigrati sottopagati nei campi a rincorrere grilli tutto il giorno, sotto il sole cocente? E poi ci schiacciano i pomodori.” Perché anche il caporalato italiano ha un’etica.
Ho appena assaggiato un ciuffo di insalata di alghe e mi domando se mi siano rimaste intrappolate tra i denti, infami come gli spinaci di terra. Perché anche le alghe sono parte di un futuro culinario, ma molto più prossimo degli insetti. Amare, sapide, ricche di umami, straripanti di nutrienti, molti di noi già le conoscono e apprezzano nella versione macro. Alcuni si vantano addirittura di usarle a casa, non senza una certa spocchia: “Ah no, io mi faccio arrivare ogni due settimane il mio pacco di kombu e di nori, le uso praticamente ovunque, dalla zuppa all’insalata.” E aggiungono: “Tra tutte le tradizioni culinarie, la mia preferita è indubbiamente quella all-you-can-eat, a mani basse proprio…”
Conosciamo meno le microalghe, il vero centro dell’innovazione foodtech. Sempre più iniziative imprenditoriali sperimentano con loro e grazie alla fermentazione riescono a estrarre con alta efficienza e con enorme flessibilità proteine, vitamine e minerali. Le applicazioni sono numerosissime e possono coinvolgere anche il micelio dei funghi, le muffe, i lieviti. Come per tutte le cose micro, l’importante è come li usi.
Sì però com’è che poi tutti questi food entrepreneur si comprano fermentatori grossi come una barca? #complessodiinferioritàneabbiamo
Per l’evento Cibi del Futuro era stato preparato un colpo di scena. Ad un certo punto avrebbe fatto la sua comparsa la carne coltivata. Ma qualcuno deve aver snitchato: appena è suonato il timer del forno, dalle finestre hanno fatto irruzione i carabinieri e si sono portati via Nicola, giovane talento della brigata della cheffe Pavan. Ora aspetta il processo insieme agli attivisti di Ultima Generazione, incastrato da una macchia di sugo sul camice scambiata per vernice lavabile.
A proposito di macchie, il nostro governo, si sa, criminalizza tutto ciò che non va in retromarcia. Sul cibo, lo dicevo quando vi ho raccontato della storia della polpetta di Mammuth, lo fa con gli occhi stolidi della mucca che guarda il tecnico di laboratorio passare. Ultimamente il ministro Lollobrigida ha elencato i 53 pericoli della carne da laboratorio individuati dall’OMS, senza però rendersi conto che tutti e cinquantatré sono condivisi con la carne tradizionale o con altri cibi che già ci mangiamo. Dovremmo vietare anche la carne normale, secondo questa logica? Dal Ministero fanno sapere: “No perché muuuuuuuuuuh!”
Piaccia o meno, il futuro e la tavola vanno entrambi preparati. Perché qualsiasi negazione si voglia fare della crisi ecologica, la crisi ecologica resta. E inevitabilmente il cibo a nostra disposizione sarà diverso. Scegliere cosa potremo e non potremo produrre, capirlo, è un processo interessante e utilissimo. Nessuno dice sarà quello che vorremo mangiare davvero, ovviamente. Come diceva Gesù? È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un italiano approvi la pizza con l’ananas. Tuttavia, il punto di riflettere sul futuro non è mai solo prepararlo, ma anzitutto mettersi in discussione. E come a tavola, dalla discussione non dovremmo mai sottrarci. Ricordandoci sempre, però, di masticare con calma.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
Il CEO di VERRA, il più grande istituto di certificazione dei crediti di carbonio, si dimette a seguito dell’inchiesta che ha rivelato la loro inutilità (The Guardian). Ovviamente anche le sue saranno dimissioni net-zero: manterrà la sua posizione e compenserà licenziando diciassette collaboratori in Nicaragua.
Il riscaldamento globale tirerà due miliardi di persone fuori dalla loro “nicchia climatica” (Icona Clima). Insegnerà loro ad avere più fiducia in se stessi e, eventualmente, a rimorchiare in discoteca.
Allagamenti e alluvioni, gli alert di Google disponibili anche in Italia (Repubblica). Su Maps i percorsi alternativi per l’evacuazione in caso di evento meteorologico estremo. Attesa anche la funzionalità Evita pedaggi e negazionisti.
Basta distruggere il tessile invenduto. C’è l’accordo tra gli stati europei sul regolamento Ecodesign (LifeGate). Niente più pile di vestiti e scarpe che vanno al macero perché invenduti. Dal 2024 in tutti gli Stati Membri sarà obbligatorio aggiungere almeno 3 layer quando ci si veste a cipolla.
Roma pianta 3.000 alberi per rinfrescarti (LaSvolta). Perché al signorino un ventilatore non bastava proprio, eh?
Appello dell’ONU: il turismo aiuti contro la plastica (Ansa2030). La risposta del settore tornato a crescere dopo la pandemia: “Voi cosa ci offrite per tradirla?”
Nell'ospedale delle tartarughe marine: 8 su 10 hanno mangiato plastica (Repubblica). È il momento di dire basta a queste stupide challenge di TikTok.
Sudata fredda:
Crisi climatica: i danni economici ci costano 4.300 miliardi di dollari (La Svolta). Ora che dobbiamo farci gli account Netflix separati, è una spesa che non possiamo proprio permetterci.
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Mattia