Volano schiaffi, culturalmente parlando
Ride verde chi ride ultimo, la rassegna di riflessioni, notizie e pensieri comici sulla crisi climatica e ambientale.
👋 Ciao! Questa settimana facciamo un salto negli USA 🇺🇸 per parlare della loro nuova guerra civile, e di quello che ci insegna sulle nostre.
La risoluzione della crisi climatica e ambientale, a questo punto, è fondamentalmente culturale. E chi frequenta l’opinione pubblica sa che non appena si inizia a parlare di certi argomenti, la tensione sale, le controversie diventano spigolose e si finisce per dire cose di cui poi ci si pente. Chiedetelo a quello stronzo che continuava a farmi “Shhh!”, in biblioteca.
Così succede, da settimane in America, che ci si faccia la guerra per i fornelli a gas. Uno scontro intestino, feroce, iracondo, che peggio di una guerra civile sembra quasi di vedere squadra blu contro squadra rossa in una qualsiasi esterna di MasterChef. Tutto è partito dal tweet di Richard Trumka, esponente della US Consumer Product Safety Commission che ha espresso l’opinione (personale) che si dovrebbe valutare la messa al bando dei fornelli a gas. Sarebbero, secondo diversi studi, una pericolosa fonte di inquinamento domestico nascosto. Un po’ per le sostanze che rilasciano costantemente in casa, anche se spenti, e un po’ perché ogni tanto si svegliano con le palle girate.
È bastato il cinguettio di Trumka, costruito su una semplice preoccupazione per la sicurezza delle persone, perché tutta una parte dell’opinione pubblica americana insorgesse. Contro i fornelli? No, in loro difesa.
Orde di repubblicani hanno sguinzagliato i pollicioni e hanno iniziato a twittare che il governo sta pianificando un furto alle libertà costituzionali, un attacco allo stile di vita dei veri patrioti, una nuova intollerabile ingerenza da parte della Casa Bianca di Biden. Trumka, che stava anche per postare un meme simpaticissimo anche se un po’ blasfemo, a quel punto si è detto che era meglio di no.
Apparentemente, alcuni americani sarebbero disposti a farsi uccidere piuttosto che rinunciare ai propri fornelli. Non esagero: c’è chi si è detto pronto a farseli “strappare dalle mie fredde mani.” Anche se poi gli hanno regalato un bel paio di guanti.
Sarebbe bello imputare tutta questa esagerazione alla logica della deriva trumpiane delle destre, ma la verità è che solo il 21% degli americani con i fornelli a gas sarebbero disposti a rinunciarvi per alternative elettriche, come i piani a induzione.
Perché questo attaccamento ai fornelli? Per capirlo bisogna sollevare un tappeto di marketing che ha su almeno cento anni di polvere. Sotto si nasconde un’incessante propaganda con cui l’industria del gas negli Stati Uniti ha ingozzato la pop culture. Metri cubi su metri cubi di messaggi, slogan, informazioni fake per imporre l’idea che il gas fosse l’unico vero modo di cucinare. Il modo più efficace, più sano addirittura. Questo il punto di tutto lo sforzo comunicativo: il gas è come si cucina.
Se vi fate un giro in questa storia, troverete delle chicche niente male. È una trama che intreccia agenzie di comunicazione, vecchie glorie della comicità americana tra cui Daffy Duck, spot pubblicitari super cringe e altri anche un po’ razzisti. Tipo questo:
Per capire l’entità della cosa: l’American Gas Association è una delle associazioni di categoria che negli USA promuove con forza le azioni di lobby dell’industria fossile, e già negli anni 30 aveva suggerito l’espressione “cookin’ with gas” [cucinare col gas] agli autori di comici molto in voga, uno tra tutti il leggendario Bob Hope, che iniziò ad usarla in radio. Presto l’espressione si trasformò in una frase fatta, “now you’re cookin’ with gas”, che è ora un modo per dire che “stai migliorando”, “sei sulla strada giusta”, “così ci siamo!” Anche in Italia hanno tentato una cosa simile in passato, ma tutto quello che sono riusciti ad ottenere è Ezio Greggio che in un film degli anni 90 esclama: “Ciumbia, che manopole!” mentre spia una strappona scandinava sposata, per qualche strano gioco della sceneggiatura, con Massimo Boldi. Una frase che non è diventata certo un tormentone popolare, ma che è rimasta in uso tra gli impiegati più anziani del Leroy Merlin.
Comunque, convincere le persone che i fornelli a gas siano il modo “regolare” di intendere la cucina ha fatto sì che nelle case rimanessero fondamentali gli allacciamenti a questa risorsa. Gli americani non sarebbero invece restii a sostituire i sistemi di riscaldamento e questo ci riporta alla guerra civile in atto: le compagnie del gas non possono lasciare che l’elettrificazione del piano cottura venga sdoganato, perché significherebbe perdere la presa sulle case americane.
Chi estrae e commercia gas naturale, non vuole andarsene da casa tua. Come quell’amico a cui dici che domani devi svegliarti presto, ma lui risponde chiedendo se c’è dell’altro vino. Così l’industria del gas investe in influencer, in scienziati senza morale, in finti gruppi di consumatori, in veri politici del partito Repubblicano, in veri politici del partito Democratico, e li arma tutti quanti per dire al mondo che è nostro indiscutibile, sacrosanto diritto scegliere se e come usare il gas per cucinare.
Padroni dei nostri fornelli, fino alla morte. Causata dai fornelli stessi.
Contenti voi, potremmo dire, se non fosse che l’uso del gas a casa è un modo per tenerci ancorati tutti ad una risorsa il cui uso e abuso ci ha condannato allo sconvolgimento del clima del pianeta. Secondo l’EPA, l’agenzia della protezione ambientale americana, il 13% delle emissioni di gas a effetto serra della Nazione è legato alla combustione di metano negli edifici. Succede perché tutta l’infrastruttura del gas ha perdite invisibili ma numerosissime, che dai gasdotti ai fornelli della cucinano continuano a riversare tonnellate e tonnellate di metano in atmosfera, dove umilia la CO2 in quanto gas climalterante anche se resta in circolo per solo una manciata di anni. Cosa che lo rende l’equivalente climatico di James Dean.
Quei tubi che alle nostre case portano gas, ai nostri organismi sostanze nocive e all’atmosfera metano, all’industria del fossile e tutti i loro mercenari portano soldi. E già è difficile trovare un idraulico che venga a ripararci le perdite, figuratevi un banchiere. È questa tragedia che ci obbliga a dovere scendere a discussione con poveri cristi come noi, che sui social sono stati intossicati dal framing artificiale costruito da colossi che continuano a fare miliardi a scapito della vite delle persone. Oggi più che mai, per altro, visto che nel 2022 le big dell’Oil&Gas hanno fatto record di profitti: oltre 200 miliardi di dollari, tutto scommettendo su di noi. Chi nella vita mi ha detto di darmi all’ippica, forse intendeva che io facessi il cavallo.
Perché vi sto raccontando questa storia così americana? Perché l’industria del fossile ha interessi ovunque, visto che la nostra modernità è permeata di ciò che essa produce. E dunque la necessità di smantellare questa industria ci porta necessariamente a districare i fili della nostra quotidianità. Che siano i fornelli a gas, che siano le cose che abbiamo nel piatto. Il discorso vale infatti anche per l’intero sistema agricolo: pensate a tutto il dibattito che si è acceso qui da noi sulla questione degli insetti. Se ve la siete persa, a inizio gennaio di quest’anno l’Unione Europea ha dato il via libera alla commercializzazione di alcuni nuovi alimenti, tra cui il grillo domestico, ed è bastato un accenno alla possibilità di venderlo sottoforma di farine, crackers e panificati, che la gente ha flippato totalmente, nemmeno se al ristorante le avessero portato un piatto con dentro uno scarafaggio.
“Ma scusi, eh! C’è uno scarafaggio nella mia minestra!”
“Sono mortificato, ma in cucina avevano finito i grilli.”
Zero domande sul perché si parli della possibilità di mangiare insetti. O sul fatto che in tante parti del mondo, da sempre, li mangiano con tutte le ragioni sociali, nutrizionali, ambientali ed economiche del caso. O ancora, sul fatto che, ci piaccia o meno, noi gli insetti – alcuni, in varie forme – li mangiamo già. E non solo se frequentate la dispensa di mia nonna.
Sembra che in questi anni di transizione ecologica, sociale, da vecchia a nuova normalità, la regola numero uno non sia comprendere, ma tenere la posizione. Gambe ben piantate a terra, schiena dritta, spalle tese. Schiaffi che volano, culturalmente parlando.
Non è la solita paura dei cambiamenti, che non piacciono mai a nessuno soprattutto quando arrivano all’improvviso, che sia il lavoro, il partner amoroso, le mutande. Maddai, è già sabato? Come passa in fretta una settimana. No, non è solo quella. Nella storiella che si racconta spesso sulla rana che sta a mollo in una pentola con l’acqua che si riscalda piano piano, e si accorge che la stanno cucinando quando ormai non ha più le forze per saltare via, la morale si concentra sull’inerzia che tradisce la rana ma mai su chi quella pentola l’ha messa a scaldarsi. Per altro, su fornelli a gas.
Le ritrosie a salvarci la pelle sono coltivate ad arte da una costellazione di attori che hanno il pollice verde a furia di spiaccicare ogni tentativo di cambiamento ecologicamente sensato. Sono tutti coloro che sull’economia che funziona come funziona oggi ci fanno profitto. I primi detrattori della possibilità di imporre il limite dei 30 km/h a Milano, di cui parlavamo settimana scorsa, sono stati gli esponenti di un mondo fatto di macchine, cemento, appalti per nuove strade e infrastrutture da costruire. Che a tappeto poi fomentano questa paura di perdere la normalità e questo desiderio di avere la ragione più lunga tipico dei social, dove non possiamo semplicemente comprarci un SUV e risolvere così i nostri complessi di inferiorità. Ma aspettiamo il metaverso, che magari lì…
Concludo: chi ha l’interesse economico, ne investe una parte per costruire un dibattito che non dovrebbe avere senso. L’aria delle città ci ammazza, l’aria delle nostre cucine è indagata per tentato omicidio. Sui dati non si discute. “E allora che la discussione sia culturale” dicono. Culturalmente, siamo coinvolti in una guerra che ci illude di dovere scegliere da che parte collocarci su temi che spesso nemmeno comprendiamo a pieno. Che tuttavia viviamo, poiché tutti cuciniamo, mangiamo, ci spostiamo per andare a lavoro, paghiamo un provider energetico. Io dico allora: informiamoci bene, chiediamoci sempre se chi ci parla non abbia un qualche conflitto di interessi sul tema, infine parliamone con chi la pensa diversamente da noi. In modo costruttivo, aperto e onesto.
“Sì ma fatelo fuori da questa biblioteca!”
E riecco lo stronzo.
Via con la rassegna di notizie lievemente riadattate.
📰 Breaking le news
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Sudata fredda:
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Mattia